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lunedì 8 aprile 2013

LA PRODUTTIVITA' IN ITALIA


I lavoratori italiani, per preparazione, impegno e produttività sono tra i migliori al mondo.
La produttività complessiva del “sistema Italia” è il vero problema, sul quale né lavoratori né imprenditori possono incidere direttamente.

Si sente parlare spesso, negli ultimi tempi, di produttività. Persino il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha detto più volte che l’Italia deve recuperare produttività, per competere sui mercati internazionali e superare la crisi economica. Chissà quanti, nel sentire queste affermazioni, sono indotti a credere che i lavoratori o le aziende italiane lavorino meno (o peggio) di altri e che quindi debbano aumentare i ritmi di lavoro e gli investimenti in tecnologie e migliorare l’organizzazione aziendale. Per fare chiarezza, e rendere giustizia ai lavoratori e agli imprenditori italiani, bisogna comprendere cos’è e come si misura questa “benedetta produttività”.
In termini tecnici, la produttività è il rapporto tra la produzione ottenuta e il tempo lavorativo impiegato allo scopo. Quando il rapporto è fatto tra le unità prodotte da uno o più lavoratori diretti (che effettivamente eseguono trasformazioni) e il tempo da loro impiegato si parla di “produttività diretta”. Quando la produzione è rapportata alle prestazioni dei diretti più gli indiretti (capi, assistenti, manutentori, magazzinieri, …) si parla di “produttività di reparto o di stabilimento”. Quando al divisore si aggiungono anche le prestazioni di impiegati e dirigenti, si parla di “produttività aziendale”.
Siccome in economia tutto si misura in valori monetari, i termini tecnici “unità prodotte e tempi” sono convertiti nei corrispondenti “valore della produzione e costo dei fattori produttivi”. Allora, la “produttività economica” di un’azienda è il rapporto tra il valore della produzione vendibile, ottenuta in un dato periodo, e il costo dei fattori produttivi riferibili al medesimo periodo.
Bisogna ricordare che il valore della produzione dipende da molti fattori (tipologia, qualità, prestazioni, marchio, …); che la quantità di produzione ottenuta dipende dai lavoratori, dall’organizzazione, dagli investimenti tecnici; che nel costo dei fattori produttivi confluiscono molte voci, oltre a salari e stipendi e relativi oneri (costi di energia, dei trasporti, del denaro per gli investimenti e l’esercizio, imposte, …).
Come abbiamo visto, per un’azienda possiamo individuare diversi tipi o livelli di produttività che, in questa sede, posiamo riassumere nelle due più importanti, quella tecnica dei lavoratori e quella economica o globale dell’azienda. A queste due dovremo aggiungere almeno un livello sovra aziendale che potremo chiamare “produttività del sistema”. Quest’ultima, in accordo con quanto detto, è il rapporto tra il valore prodotto dal sistema, in un dato tempo, e i costi generati dal sistema nel medesimo periodo. La matematica non lascia scampo: il rapporto è favorevole quanto più alto è il dividendo (il valore della produzione) e più basso il divisore (i costi del sistema).
Per quanto ho potuto osservare, nei molti paesi in cui ho operato come consulente tecnico, solo in Svezia ho riscontrato una “produttività diretta” (dei lavoratori) superiore all’Italia. I lavoratori italiani, per preparazione, impegno e, in ultima analisi, produttività sono tra i migliori al mondo. Anche la “produttività globale” delle aziende italiane è competitiva per quanto attiene i fattori che possono controllare autonomamente (produzione, organizzazione, impianti e investimenti) ma è penalizzata dai fattori che non può controllare (costi energetici e di trasporto, infrastrutture, burocrazia, incertezze normative, lungaggini giudiziarie, oneri sociali e fiscali elevati e a volte impropri, …).
Per questo, è la produttività complessiva del “sistema Italia” il vero problema, sul quale né lavoratori né imprenditori possono incidere direttamente. La questione è complessa e la lascio ben volentieri a economisti e politici. Si può però ricordare che, in accordo con la formula data, l’indice di produttività migliora se cresce il valore della produzione. Perché ciò si verifichi, sono necessarie due condizioni: che aumentino i lavoratori e che tra questi sia maggiore il numero dei “diretti-produttivi” e si riducano gli “indiretti” che, pur necessari perché il sistema funzioni correttamente, non aggiungono valore.
In altre parole servono più occupati e tra questi un maggior numero di “aggiuntori di valore” e un minor numero di “incrementatori di costo”. La Francia, per esempio, con una popolazione superiore all’Italia del sette per cento ha un prodotto interno lordo (il citatissimo PIL) superiore al nostro del ventidue per cento. Ciò è dovuto principalmente al maggior tasso di occupazione (64%) rispetto al nostro (57%) e a un miglior utilizzo della stessa, privilegiando le attività che incrementano valore e minimizzando l’incidenza dei servizi - pubblici e privati - mediante un’efficace organizzazione e controllo degli stessi.
Per finire, quando si auspica, una “maggiore produttività” bisognerebbe aggiungere del “sistema Italia” e avere l’accortezza di dire che ciò implica principalmente (quasi esclusivamente, oserei dire) azioni che sono nell’esclusiva facoltà di legislatori e amministratori pubblici. Non lasciar credere che si dovrebbe lavorare di più e meglio nelle aziende private; cosa, per altro, sempre possibile e costantemente ricercata dalle imprese italiane.  

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