Translate

sabato 25 maggio 2013

UNICO, UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA AL CONTRIBUENTE


Quanto pesa la dichiarazione dei redditi del contribuente italiano?
Davvero non ci sono alternative alla farraginosa procedura italiana? Gli esempi di Francia e Canada confermano che semplificare, di molto, si può.
Politici e amministratori, molti dei quali con lauree e master conseguiti all’estero, davvero non conoscono i sistemi fiscali in essere negli altri paesi? Se li conoscono perché infliggono ai contribuenti italiani un supplizio … UNICO?

Non voglio trattare in questa sede l’incidenza diretta delle imposte e, quindi, il peso economico che queste hanno sulle famiglie e sulle imprese italiane. Mi voglio limitare ai danni collaterali derivanti dalla complessità e onerosità della compilazione e presentazione della dichiarazione e delle modalità di versamento delle imposte. Il modello UNICO Persone fisiche 2013, al pari di quelli precedenti, è talmente ostico e ostile da sembrare una dichiarazione di guerra al cittadino-contribuente.
     Il fascicolo 1 di UNICO - utilizzabile da chi ha solo redditi di terreni, dei fabbricati, di lavoro dipendente e assimilati - prospetti da compilare più istruzioni, pesa quasi mezzo chilogrammo (410 grammi per l’esattezza). Consta di 112 pagine di istruzioni in formato A4 e di 8 + 8 prospetti da compilare, sempre in formato A4. In alternativa, al modello standard alcuni contribuenti, possono compilare UNICO MINI. Solo 24 pagine di istruzioni e 4+4 prospetti da compilare.
     Molti contribuenti avranno anche altri redditi, di partecipazione, soggetti a tassazione separata, plusvalenze finanziarie, ecc. per cui dovranno utilizzare anche il fascicolo 2. Vale a dire altre 48 pagine di istruzioni e 8+8 prospetti da compilare. Peso, circa 160 grammi. Lavoratori autonomi, professionisti e imprenditori dovranno utilizzare anche il fascicolo 3. Il quale si compone di 86 pagine di istruzioni e 16+16 prospetti da compilare. Infine, alcuni di questi ultimi dovranno compilare il prospetto “Indicatori di normalità economica”, una mezza paginetta (Deo gratias) per la quale basterà leggere 7 pagine di istruzioni.
     Complessivamente UNICO PF 21013, con i suoi 3 fascicoli, pesa quasi un chilogrammo (e speriamo che sia carta riciclata). In tutto ci sono 253 pagine di istruzioni formato A4 e, un contribuente che avesse tutte le tipologie di reddito, arriverebbe a compilare 29+29 prospetti analitici, zeppi di dati. Per pagare le imposte dovute, poi, dovrà compilare in 3 copie il modello F24, corredato di due pagine di istruzioni nelle quali, però, non figurano i codici tributo (Irpef a saldo e in acconto, addizionale regionale e comunale, ecc.) che andranno ricercati altrove. E finalmente potrà recarsi in banca o in posta a fare il proprio dovere di cittadino-contribuente.
     Quanto ai contenuti da riportare nei prospetti di UNICO facciamo solo l’esempio del rigo RN10 Detrazione per redditi di lavoro dipendente. Per un lavoratore che abbia in busta paga 1.000 euro netti al mese e quindi un reddito lordo annuale di circa 27.000 (a questo porta il cuneo fiscale) bisogna operare il calcolo seguente (pag.72 fascicolo 1 di UNICO).
1)     Quoziente = (55.000-Reddito per detrazioni)/40.000
Se il Quoziente è superiore a zero e minore di uno devono essere utilizzate le prime quattro cifre decimali.
2)     Detrazione spettante = [ 1.338 x Quoziente x (N.giorni lav.dip/365) ]
3)     Se il reddito per detrazioni è superiore a euro 23.000 e non è superiore a euro 28.000 la detrazione come sopra determinata deve essere aumentata di un determinato importo, come descritto nella tabella che segue: (omissis).
L’altro giorno, immerso in questi calcoli, mi è tornata alla mente la visita che feci, qualche anno fa, ad uno zio stabilitosi in Francia. In particolare a quando il discorso cadde sulle imposte. Lo zio disse che proprio nei giorni precedenti gli era stata recapitata (N.B.) a mezzo posta la “Proposta di dichiarazione dei redditi”, compilata dai competenti uffici. Da un cassetto, infatti, trasse un foglio (1) formato A4 in cui erano riportati tutti i redditi suoi e della moglie. Nella fattispecie due pensioni, due case e un terreno (NB). In fondo alla seconda facciata era riportata l’imposta netta. Che lo zio aveva già pagato, perché non aveva elementi da far rettificare. Solo in quel caso egli si sarebbe recato all’ufficio fiscale, o avrebbe mandato per posta o in via telematica, una domanda di rettifica che sarebbe stata immediatamente accolta, nel caso sussistessero gli elementi necessari.
     Un conoscente che ha soggiornato e lavorato in Canada mi assicura che in quel paese vige un sistema simile a quello francese e chissà in quanti altri, le cose stanno più o meno così. Difficile credere, invece, che ci siano al mondo sistemi fiscali più farraginosi del nostro. Non ci sono altre possibilità:
         -o i nostri politici e amministratori non lo sanno;
         -o lo sanno e, nonostante ciò, non provvedono alle necessarie riforme.
E davvero non si sa quale, delle due, sia l’ipotesi peggiore.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com

lunedì 20 maggio 2013

COSTI DELLA POLITICA E FINANZIAMENTO AI PARTITI


Possono essere ridotti con un Sistema elettorale basato su Collegi uninominali o Circoscrizioni di piccole dimensioni (con pochi elettori e numero minimo di eletti).
I primi sono presenti tanto nel maggioritario a turno unico anglosassone, nel doppio turno francese e, in parte, persino nel sistema proporzionale tedesco. Le Circoscrizioni ridotte, invece, correggono i sistemi proporzionali in Spagna e Svizzera.
Le Preferenze, da tutti invocate, non sono sufficienti per reintrodurre una  democrazia compiuta in Italia e possono nascondere qualche insidia, se introdotte in un Sistema elettorale basato su Circoscrizioni plurinominali di grandi dimensioni.

Il dibattito sul finanziamento pubblico dei partiti è più che mai aperto. Il confronto tra chi vuole abolirlo (lo avevamo già fatto con un referendum!) e chi vuole mantenerlo (dopo la reintroduzione mascherata da rimborsi elettorali) si arricchisce di nuovi contributi. Su L’Espresso, il direttore Bruno Manfellotto si domanda: “ Ma è davvero una buona idea togliere tutti i soldi ai partiti?” e risponde che “abolirlo del tutto sarebbe un errore colossale”. Il direttore ci ricorda anche che “In tutta Europa non c’è democrazia che non abbia una qualche forma di sostegno pubblico”. Riporta le cifre che si spendono in Francia e Spagna, di poco inferiori a quelle italiane, e in Germania, tre volte tanto i sussidi nostrani.
     Il direttore de L’Espresso spiega, infine, che senza i soldi pubblici potrebbe affacciarsi alla politica solo chi ne ha tanti di propri, chi ha il favore delle lobby e dei potentati, chi può pagarsi una costosa campagna elettorale. Tali preoccupazioni sono state espresse più volte, soprattutto dai partiti del centro sinistra, dalle compagini minori e da quanti ambivano a entrare nelle istituzioni con una nuova formazione. Il problema esiste ed è serio in una democrazia che voglia continuare a essere tale e magari anche consolidarsi, raggiungere gradi superiori di attuazione.
     E’ possibile che non ci siano ancora le condizioni per abolire del tutto il sostegno pubblico al sistema politico che assicura la democrazia. Ma il tempo delle generose e incontrollate elargizioni di denaro pubblico ad associazioni private (tali sono i partiti) è ormai scaduto. Oltre alle “leggi chiare e controlli ferrei” invocati, direi che ci sono tutte le premesse per una drastica riduzione di finanziamenti e rimborsi ai partiti, alla politica in genere e ai politici di ogni ordine e grado.  Si pensi solo al potenziale già espresso e ancora da espandere dei nuovi media per la comunicazione, la consultazione, l’aggregazione politica e per forme di democrazia diretta. Il tutto a costi ridottissimi rispetto alle modalità tradizionali.
     In ogni caso, le maggiori garanzie di accesso alla politica, per tutti e non solo per chi ha grandi risorse finanziarie e mediatiche, le può offrire solo un adeguato Sistema elettorale. E così pure una drastica riduzione dei costi per le campagne elettorali, dei partiti e dei singoli candidati. Ingenti somme per la propaganda sono necessarie con i Sistemi elettorali che prevedono grandi circoscrizioni con l’elezione di più candidati. Ingentissime, poi, sono le somme da spendere per prevalere in un “Sistema plurinominale, applicato a un collegio unico nazionale”, l’attuale metodo di elezione per la Camera in Italia. Con questo sistema prevarrà sempre chi ha molti mezzi e grande visibilità/notorietà (non necessariamente connesse alle capacità politiche o amministrative).
     Con i collegi elettorali piccoli e compatti (e conseguentemente uninominali) un candidato noto e apprezzato in ambito locale (per la sua vicenda amministrativa, politica, professionale, associativa, culturale, …) può spuntarla con modestissime spese anche nei confronti di “potenti e paracadutati”. E’ successo in molti casi al tempo del “Mattarellum” che prevedeva l’elezione del 75 per cento dei deputati in collegi uninominali. Questa valenza, veramente democratica e anti-oligarchica, ha decretato la fine di quel sistema elettorale che non ha trovato paladini né a destra né a sinistra.
     Si rifletta sul fatto che non solo il Sistema maggioritario a un turno anglosassone e quello a doppio turno francese si basano su collegi uninominali e quindi di piccole dimensioni, ma, addirittura, nel Sistema proporzionale tedesco la metà dei deputati, 299, viene eletta in altrettanti collegi uninominali e l’altra metà attraverso il voto alle liste di partito nel Collegio unico nazionale. Anche in Spagna e Svizzera sono in vigore dei Sistemi proporzionali corretti, proprio mediante la riduzione delle Circoscrizioni. Per quanto sopra si può ritenere che l’adozione dei Collegi uninominali o di Circoscrizioni elettorali di ampiezza ridotta siano un elemento fondamentale per la reintroduzione della democrazia in Italia dopo la sospensione de facto attuata con il Porcellum.
     Infine, bisogna considerare che le Preferenze, da tutti invocate, non sono sufficienti per reintrodurre una  democrazia compiuta in Italia e possono nascondere qualche insidia se introdotte in un Sistema elettorale basato su circoscrizioni plurinominali di grandi dimensioni. Se, per esempio, si volesse modificare la legge attuale introducendo le preferenze e mantenendo il “Collegio unico nazionale” per la Camera e i “Macrocollegi plurinominali per il Senato” cambierebbe ben poco. Continuerebbero, infatti, a prevalere  potenti, potentati e paracadutati, anche a scapito dei competenti, perché i costi per una campagna elettorale, su scala nazionale, sono inavvicinabili per i candidati e i cittadini normali.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com

venerdì 17 maggio 2013

LEZIONI AMERICANE, IL LAVORO ITALIANO NEGLI U.S.A.


Nei giorni scorsi i visitatori americani di questo blog hanno superato quelli dell’Italia. Negli Stati Uniti risiede il quindici per cento dei lettori della VOCE CIVICA. Non conosco la ragione ma mi fa piacere. Voglio omaggiare chi mi legge dagli States con un ricordo delle mie trasferte di lavoro a Fort Worth – Texas.
Per molti anni ho fatto parte di un gruppo di lavoro dedito ai trasferimenti di know-how dall’Italia in tutto il mondo. Il mio ruolo era la formazione del personale locale, insegnavo loro a padroneggiare una tecnologia italiana, derivata dagli studi che valsero al professor Natta il premio Nobel per la chimica.
Da quelle esperienze ho tratto un manoscritto “La Valigia di Pelle – per il mondo al tempo della globalizzazione”. Di quel libro, in attesa di pubblicazione, riporto il primo racconto.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com

La voliera più grande del mondo
Gli Stati Uniti sono una terra di molti contrasti, tenuti insieme da una capacità d’integrazione che riesce a far convivere popoli e culture, climi e paesaggi affatto omogenei, architetture neoclassiche e grattacieli, i veicoli spaziali e i calessi degli Amish. Già arrivando sopra New York con un volo dall’Europa, si nota il “contrasto armonico” tra la Statua della Libertà e lo skyline di Manhattan. Giungendo, poi, all’aeroporto di Dallas – Fort Worth, meta finale del nostro viaggio di lavoro, inizia un percorso tra elementi contrastanti di ogni tipo e che pure coesistono senza sforzo apparente. Dall’avveniristico complesso aeroportuale texano al downtown di Fort Worth, “il luogo dove comincia il West”, si compie un viaggio avventuroso nello spazio e nel tempo. Il centro storico della città, infatti, è stato mantenuto come ai tempi della “frontiera” e quando c’è la fiera, si vedono ancora i cavalli legati alla staccionata fuori dei saloon.
     Quando giungemmo negli uffici della società di cui eravamo consulenti, la cosa che più ci colpì fu il contrasto tra i computer e le scrivanie su cui erano posati. Modernissimi i primi, modelli non ancora disponibili in Italia. Le scrivanie, invece, ci riportarono indietro agli anni cinquanta, alle cattedre di legno massiccio delle nostre maestre. Più tardi Mr. Lawson ci spiegò che, in fondo, una scrivania è solo un piano di appoggio e lavoro: fin che svolge questa funzione, non c’è motivo di cambiarla. Questa fu solo la prima lezione di “analisi del valore” che apprendemmo in quella trasferta.
     La seconda lezione arrivò per gradi nei giorni seguenti. Per il nuovo impianto, acquisito chiavi in mano in Italia, l’azienda texana stava costruendo un nuovo stabilimento. La prima volta che ci portarono in cantiere era già in piedi la struttura in carpenteria metallica. Dissero che sarebbe stato pronto nel giro di due settimane. Non dubitammo pensando a un rivestimento e alla copertura in pannelli prefabbricati. Invece, nei giorni seguenti, l’involucro del fabbricato, falde del tetto comprese, fu rivestito da una rete metallica leggera, tipo quella usata per i pollai. Sembrava un’enorme voliera. Aspettammo e vedemmo che, poi, cominciando dal tetto, sulla rete venivano stesi dei rotoli di materiale isolante supportato, verso l’interno del fabbricato, da una pellicola di plastica bianca. Infine all’esterno, fissandole con viti ai correnti metallici della struttura, furono fissate delle lamiere grecate, con la classica funzione di tamponamento con adeguata resistenza. Montate le porte nei vani predisposti, essendo privo di finestre per evitare le dispersioni termiche, il capannone era in pratica finito.
Mr. Hopkins, concluse la seconda lezione di “analisi del valore” facendoci osservare che, in fondo, la funzione propria del fabbricato, contenere in sicurezza e confortevolmente addetti, impianti e materiali, era soddisfatta. Ma io resto dell’idea che, in questo caso, abbia ragione il legislatore europeo che impone nei luoghi di lavoro un’adeguata finestratura, di cui una parte apribile, perché i lavoratori abbiano luce e aria naturale. Che d’altronde sarebbe bene assicurare anche ai polli.

giovedì 16 maggio 2013

I DIRITTI ACQUISITI, GIUSTE TUTELE O PRIVILEGI LEGALIZZATI?


Di fronte a certe situazioni italiane, inaccettabili e apparentemente inamovibili, si è presi dallo sconforto. Viene da pensare se sia mai possibile che nessuno ci pensi, vada al fondo delle questioni, ne scopra le origini e proponga dei rimedi. A ben guardare, però, qualcuno che ci pensa si trova. Dalla massa delle informazioni che ci sommergono, si possono ancora estrarre dei passi interessanti che andrebbero meditati e tradotti in provvedimenti. Ne riporto uno dal quotidiano Il Gazzettino del 16 maggio. Si tratta di un intervento del Deputato di Scelta Civica Enrico Zanetti.
     “Questo paese è bloccato dalla logica del diritto acquisito e lo è doppiamente perché, nella sua sistematica incapacità di assumere decisioni e di fare distinguo tra situazioni virtuose e viziose, pretende di tutelare acriticamente qualsiasi posizione maturata o anche mera aspettativa, senza neppure distinguere tra quelli che sono in effetti diritti da tutelare e quelli che sono oggettivamente privilegi da smantellare. Bisogna passare dalla logica del diritto acquisito a quella del diritto sostenibile, in forza del quale l’unico diritto che può considerarsi acquisito è quello che può continuare ad essere acquisito anche da chi non ne è già titolare”.
     Questo il passaggio cruciale dell’onorevole Zanetti. Parole sacrosante che andrebbero scolpite sopra gli scranni dei legislatori, perché – in effetti – i diritti acquisiti traggono normalmente origine da una legge approvata dal Parlamento. Norma che si vorrebbe mantenere immutata anche a fronte di cambiamenti epocali.  Rispetto a quanto scrive il deputato di Scelta Civica, io mi domando, e non da ora, se si può considerare acquisto un diritto che non è commisurato, correlato al diritto degli altri che si trovino nella medesima situazione. Se è diritto un provvedimento legislativo che nella pratica realizza una disparità tra soggetti e situazioni equiparabili. Se è diritto un provvedimento particolare che non tiene conto del contesto generale.  
     La legislazione del lavoro e previdenziale, quella relativa alle attività economiche private e al pubblico impiego hanno generato tutta una serie di “diritti acquisiti” che sono insostenibili e non più raggiungibili da nuovi soggetti, come dice l’onorevole Zanetti. E spesso non sono correlati ai (non) diritti di altri e commisurati alle reali condizioni del paese, aggiungo io.  I “diritti acquisiti” da alcune categorie nel passato limitano, ora, i diritti dei giovani a un lavoro non precario e degli anziani a trattamenti pensionistici adeguati. Le riforme promesse e necessarie dovranno tenerne conto. Anche andando a commisurare i “diritti acquisiti” da alcuni, al diritto di tutti e alle possibilità del Paese.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com

     

martedì 14 maggio 2013

INTERNAZIONALIZZAZIONE O DELOCALIZZAZIONE PRODUTTIVA?


Quale ruolo hanno svolto alcune agenzie pubbliche nel trasferimento di attività produttive italiane all’estero?
E quale, invece, avrebbero potuto e dovuto svolgere per il consolidamento dell’economia nazionale in tempo di globalizzazione dei mercati?
Per la tenuta delle imprese e dell’occupazione giocano (o dovrebbero giocare) un ruolo importante anche le finanziarie statali e regionali che hanno per oggetto sociale la promozione internazionale del sistema economico-produttivo italiano. Per esempio, in quella che era la locomotiva italiana, il mitizzato Nordest, operano Finest e Informest. Due finanziarie locali partecipate dalle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige. La prima “Finanzia con strumenti mirati gli imprenditori che intendono svilupparsi all'estero”. La seconda ha “L’obiettivo di promuovere lo sviluppo economico e i processi di internazionalizzazione”.
     In pratica le due società hanno aiutato le imprese del Nord-est, in particolare del Friuli Venezia Giulia e del Veneto a de-localizzare, in altre parole a trasferire stabilimenti e produzioni oltre l’ex cortina di ferro. Hanno utilizzato i soldi dei contribuenti, provenienti in gran parte dalle imprese e dai lavoratori italiani, per spostare il lavoro dall’Italia in altri paesi.
     Ora che il processo “di internazionalizzazione” delle imprese è quasi compiuto, si potrebbe (e forse si dovrà) cambiare la loro mission. Bisognerà che, dopo aver assistito gli imprenditori a de-localizzare le attività produttive, si aiutino i giovani e i lavoratori in genere a internazionalizzarsi, cioè a emigrare in cerca di fortuna, come facevano i loro padri e nonni, che dal Nordest – prima del boom – emigravano in massa. 
     Le imprese del Nordest avevano bisogno di assistenza, e di processi aggregativi, per sviluppare i mercati esteri, non per trasferirvi le produzioni. O almeno non con il sostegno pubblico. Un solo esempio: il Nordest ha le capacità produttive per realizzare quasi tutto ciò che si può trovare nella famosa catena svedese di arredi e complementi per la casa. Manca, appunto, la capacità commerciale adeguata e innovativa che ha saputo creare il signor Ingvar Kamprad. Il quale è capace persino di rivenderci i nostri stessi prodotti, visto che molti articoli che noi compriamo nei centri commerciali che ha aperto in Italia, sono fabbricati (sino a ora) nei nostri mobilifici.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com

sabato 11 maggio 2013

TERRITORIO ITALIANO DA RECUPERARE E RILANCIARE


Serve un nuovo modello di organizzazione delle istituzioni territoriali, riconoscendo che le aree metropolitane e quelle rurali hanno problematiche ed esigenze diverse, che devono essere gestite autonomamente le une rispetto alle altre.
Com’è in Germania, Svizzera e Austria, dove il territorio non è in declino come in Italia e le città non sono state devastate dalla cementificazione indotta dall’inurbamento forzato dalle politiche centralistiche dello stato e delle regioni.
Quando si vola dall’Italia in Germania, passando o dalla Svizzera o dall’Austria e, soprattutto, quando si fa il tragitto inverso, si nota in modo chiaro un fatto che non depone a nostro favore. Di giorno e con il cielo limpido, le città, i paesi e i borghi, tedeschi, svizzeri e austriaci, risaltano compatti nel verde circostante. Non una casa, un fabbricato di qualsiasi specie e destinazione, è posto fuori dai perimetri urbani, grandi o piccoli. A un certo punto, il panorama muta: sotto di noi sfilano ammassi edificati più o meno densi, le costruzioni sono sparse ovunque, non c’è un chilometro quadrato di verde libero. E’ il segnale che l’aereo ha passato il confine: siamo sopra l’Italia.
Quando in treno o in auto si attraversano le valli svizzere e austriache e soprattutto quando, per qualsiasi motivo, ci si inoltra in quelle secondarie, si nota la vitalità dei paesi di montagna. Anche quelli non “benedetti” da madre natura e dallo “zio turismo” sono vivi e non denotano il fenomeno dello spopolamento così diffuso nella nostra montagna, che ha lasciato indenne dal fenomeno solo le perle turistiche. Perché? Si domanda il cittadino curioso, più che il tecnico. Le risposte sono più di una ma non vi è dubbio che la principale attenga all’organizzazione e gestione territoriale delle istituzioni, assai diverse, rispetto all’Italia, in Germania, come in Svizzera e in Austria.
La Germania, è noto a tutti, è una repubblica federale, composta, dopo la riunificazione, da sedici stati federati. I länder, tenuto conto delle differenze, si collocano allo stesso livello delle regioni italiane. Meno note, a quel che si legge, sono alcune interessanti caratteristiche della suddivisione amministrativa. Queste peculiarità, sono in buona parte presenti anche in Austria e Svizzera, gli altri due stati federali a noi vicini. Senza entrare nel dettaglio, non è questa la sede, si riportano quegli elementi che potrebbero (dovrebbero!) essere considerati anche in Italia per la riforma delle autonomie locali di cui si sta discutendo.
In Germania, come nel resto d’Europa, l’istituzione di base, e più vicina al cittadino, è il comune. Tra il comune e il land (equiparabile alle nostre regioni, almeno in parte) si colloca il “circondario” che è una federazione di comuni, preposta all’erogazione dei servizi locali (di area vasta) per i quali i comuni sono troppo piccoli e i länder troppo grandi e “distanti”. In pratica i circondari tedeschi (e i distretti austriaci e svizzeri) sono i corrispettivi delle province italiane, ma con almeno tre differenze sostanziali che li rendono più efficaci, più condivisi dalla popolazione e sostanzialmente più democratici.
Sono più compatti e omogenei; sono in pratica delle federazioni di comuni con pari dignità e senza la preminenza di una città capoluogo. Proprio l’inquadramento separato delle città, costituisce l’elemento più interessante.  Queste ultime (generalmente quelle con più di cinquantamila abitanti, ma alcune sono anche più piccole) sono definite “città extracircondariali”, sono allo stesso tempo comune ed ente intermedio, con il sindaco che fa anche le funzioni che nei “circondari rurali” svolge il presidente degli stessi. Questa distinzione amministrativa riconosce un fatto inemendabile, in altre parole che gli ambienti urbani e quelli territoriali hanno problematiche, esigenze e, persino, mentalità dei residenti, differenti e porta a soluzione i problemi che ne derivano, assegnando l’amministrazione delle città ai cittadini e del territorio agli abitanti dello stesso.
Questa è la ragione principale che ha evitato a Germania, Svizzera e Austria il degrado e lo spopolamento del territorio (anche di quello montano) e l’accrescimento caotico e problematico, da tutti i punti di vista, dei capoluoghi, che sarebbe arduo definire sviluppo. Questi Stati hanno saputo e voluto governare omogeneamente lo sviluppo territoriale, attuando il principio di equivalenza e pari dignità delle comunità, urbane e rurali, grandi e piccole, di pianura e di montagna, assegnando a ciascuna una sufficiente autonomia per il governo locale e la ricerca delle forme confacenti di sviluppo.
Per esemplificare l’articolazione del sistema amministrativo tedesco si può considerare il land della Turingia, uno dei più piccoli tra quelli territoriali. Bisogna ricordare che tre länder, Berlino, Amburgo e Brema, sono “città stato”, in altre parole privi di territorio extraurbano. Anche questa è una particolarità che potrebbe interessare in certi casi: per la capitale in relazione a ruolo e popolazione, o per Trieste, privata del territorio dopo la guerra.
 La Turingia ha un’estensione di poco inferiore a quella del Veneto (16.000 kmq contro 18.000) e una popolazione di 2.200.000 abitanti (circa la metà del Veneto). Il länder tedesco è costituito da 936 comuni, aggregati in 17 circondari rurali e con sei città extracircondariali per un totale di 23 enti intermedi. Per confronto il Veneto è costituito da 581 comuni, distribuiti in sette province. Le medie sono, per la Turingia: 2.350 abitanti per comune e 95.000 per ciascun ente intermedio (circondario). In Veneto ci sono in media 8.600 abitanti per comune e 714.000 per provincia (ente intermedio). Si deve anche notare che, al posto dei sette capoluoghi, nel land tedesco vi sono sei “città extracircondariali” con abitanti che vanno dai 38.000 della più piccola ai 205.000 di Erfurt che è la capitale dello stato federato. 
Si può notare l’alto numero dei municipi tedeschi a presidio di tutti i borghi e, ovviamente, con una struttura, funzioni e costi minimi, perché la gran parte dei servizi di prossimità è assicurata dai circondari che hanno la dimensione ottimale per gestirli con efficacia e in economia. Circondari che sono costituiti da federazioni di comuni compatte e omogenee che hanno tra di essi “stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali”. Caratteristiche, queste ultime, che mancano spesso, e in misura rilevante, alle province italiane.
Si leggono in Italia delle proposte che, anziché avvicinare l’articolazione amministrativa a quelle già dimostratesi efficaci nei paesi vicini, se ne discostano. Basti pensare all’ipotesi di soppressione dei piccoli municipi; al mantenimento (o alla creazione) di enti intermedi ancora più grandi, rispetto alle attuali province e, per conseguenza, ancora più disomogenei e “distanti” dalla popolazione; al mantenimento dei privilegi ai capoluoghi, come la sistematica destinazione di maggiori fondi “pro-capite”, rispetto alle città non capoluogo e ai paesi del territorio. Preoccupa che nessuno ne parli, nessuno citi l’organizzazione amministrativa degli stati vicini. Viene da chiedersi se gli “addetti ai lavori” non ne siano a conoscenza o, pur sapendo, tacciano ed è difficile giudicare se sia peggiore l’una o l’altra delle due sole alternative possibili.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com



mercoledì 8 maggio 2013

L’IRRESPONSABILITA’ DISTRUGGE L’ITALIA


I programmi satirici continuano a documentare dipendenti pubblici che timbrano e non vanno al lavoro. 
Di chi è la responsabilità? E cosa è necessario fare? Subito e coinvolgendo tutti i livelli.

Infine, anche i dipendenti del Senato della Repubblica sono stati immortalati dalle telecamere mentre timbrano il cartellino di ingresso al lavoro e se ne vanno a spasso o fare i loro comodi. Siamo al penultimo stadio, più in lato c’è solo il colle del Quirinale. Quando anche uno solo dei dipendenti della prima carica istituzionale sarà immortalato in simile atteggiamento, lo scempio sarà completo.
     Da anni le trasmissioni satiriche certificano il fenomeno, prima e più di quelle d’inchiesta o delle magistrature ordinarie e contabili. Dai vari servizi andati in onda, pare che il fenomeno non sia circoscritto che, anzi, sia diffuso in molti dei servizi pubblici e a tutte le latitudini. In questo l’Italia è unita e uniforme, da Trieste a Trapani. Fa rabbrividire che continui nonostante la crisi, la disoccupazione, le aziende che chiudono, le molte persone che arrivano a gesti estremi. Ebbene nonostante tutto ciò c’è chi incassa regolarmente uno stipendio senza aver corrisposto per intero le prestazioni che giustificherebbero la remunerazione.
     Ciò fa sorgere delle domande laceranti e inquietanti: com’è possibile che si sia giunto a tanto? Che continui ancora con l’Italia e tanta parte degli italiani in ginocchio? Chi governava (controllo politico) e chi dirigeva (controllo manageriale) negli anni in cui questa prassi si è instaurata, dilatata e consolidata? Che cosa intendono fare i nuovi governanti e il management pubblico per stroncare alla radice queste truffe ai danni dello stato, dei contribuenti e dei cittadini tutti? Non era così nei primi decenni del dopoguerra come ho riferito in uno scritto precedente (cfr. “La responsabilità salverà l’Italia”). La deriva è cominciata negli anni Settanta ed è dilagata nei decenni successivi.
     E’ strabiliante osservare la reazione dei “responsabili” quando vengono loro mostrati i filmati dei collaboratori che timbrano per i colleghi assenti o che registrano l’entrata al lavoro e se ne vanno. Cadono dalle nuvole! Non si vuole e non si può generalizzare, ma ciò fa emergere che molti dei dirigenti e responsabili ai vari livelli della pubblica amministrazione sono inadeguati a ricoprire la funzione, sono letteralmente irresponsabili, perché non rispondono, come dovrebbe ogni coordinatore, delle prestazioni di tutti e di ognuno dei propri collaboratori.
     Il cartellino marcatempo è stato introdotto molto tardi nelle pubbliche amministrazioni, ben prima era in uso nelle industrie e attività private. Lo scopo era ed è quello di rilevare la presenza dei lavoratori ai fini del calcolo delle ore da retribuire, uno strumento di ausilio per l’ufficio del personale più che per i capireparto e capiufficio. I quali devono conoscere, direttamente o tramite i servizi di staff, l’organizzazione del lavoro e dei lavoratori subordinati, in ogni istante passato, presente e futuro (programmazione, controllo avanzamento, ecc.). Chi dirige, coordina, conduce un gruppo di collaboratori deve conoscere i contenuti, qualitativi e quantitativi, del lavoro e quindi programmare l’attività del gruppo e di ciascun addetto. Avendo sempre chiaro che il responsabile risponde dell’operato di tutti e di ognuno, ovvero della quantità e qualità delle prestazioni svolte in un dato tempo.
     I fatti che la televisione ci ha più volte documentato dimostrano che molti funzionari pubblici non sono responsabili delle unità che presiedono; non ne hanno il controllo. Sono stipendiati da dirigenti, ma, di fatto, non dirigono. Bisogna assolutamente reintrodurre nella pubblica amministrazione la responsabilità di comportamento e soprattutto di risultato. Pare che il presidente Grasso, vedendo in anteprima i filmati che mostravano i dipendenti del Senato “all’opera”, abbia assicurato che i responsabili saranno puniti. Confidiamo che lo faccia, anche perché al vertice della struttura e, quindi, primo responsabile è proprio lui.
                                                                                                 umuzzatti@gmail.com

    




   

mercoledì 1 maggio 2013

LEGGE ELETTORALE: FISSARE GLI OBIETTIVI PERSEGUITI E I REQUISITI DA SODDISFARE


Il Capo dello Stato da anni, i Saggi nelle loro conclusioni, il neo Presidente del Consiglio,  gran parte dei politici, i media, i commentatori e tutti - cittadini ed elettori - invocano una nuova legge elettorale. Tutti avanzano proposte, spesso per il proprio tornaconto. 
Se non si vuole ricadere in un altro "pasticcio all' italiana", sarebbe bene discutere e definire, preliminarmente, le esigenze che s’intendono soddisfare e gli obiettivi che s’intendono perseguire con la nuova legge elettorale

Nei paesi democratici, anche sostanzialmente simili come potrebbero essere quelli dell’Unione europea, i parlamentari sono eletti con sistemi elettorali molto diversi. Si sa anche che il “sistema perfetto” non esiste e che ciascuno di quelli in essere, o sperimentati in passato, non assicura risultati “perfettamente democratici”. In pratica,  ogni sistema favorisce certi aspetti e ne penalizza altri.
     Resta da vedere in che misura e a cosa è data priorità e, in ogni caso, se, attraverso le regole elettorali adottate, il popolo riesce a esprimere, in grado sufficiente, la sovranità di cui è titolare. Premesso che il sistema elettorale comprende l'insieme delle norme che regolano le elezioni, il dibattito si concentra sui due elementi fondamentali: il sistema di votazione e il metodo per l'attribuzione dei seggi o formula elettorale. Quest’ultima è classificabile in due categorie fondamentali: maggioritaria e proporzionale alle quali si sono aggiunti, da pochi decenni, i sistemi misti o corretti.
     Negli ultimi tempi il dibattito sulla legge elettorale ha ripreso vigore. Giustamente. Le discussioni vertono quasi esclusivamente sui possibili sbocchi della nuova normativa. Schieramenti, partiti, correnti e “saggi” avanzano le loro proposte basate più che altro sul calcolo del proprio tornaconto. Così almeno i primi dell’elenco. E non si fanno mancare nulla tra le possibili combinazioni di maggioritario e proporzionale; con collegi uninominali e plurinominali; circoscrizioni grandi e piccole; turno secco o doppio; liste bloccate e voto di preferenza; sbarramenti e premi di maggioranza.
     Però, se non si vuole ricadere in un'altra anomalia tutta italiana dopo il “Sistema maggioritario plurinominale, nell’ambito di un Collegio Unico Nazionale” in arte “Porcellum”, sarebbe bene discutere e definire le esigenze che s’intendono soddisfare e gli obiettivi che s’intendono perseguire con la nuova legge elettorale. Solo in questo modo si potrà chiarire preventivamente se si sta ricercando un sistema equilibrato e sostanzialmente democratico (posto che il perfettamente ancora non esiste) e si potrà verificare poi, in che misura la legge approvata soddisfa i requisiti che si è dichiarato di voler soddisfare.
     Ex post è chiaro che il “Porcellum” perseguiva attraverso le regole che lo caratterizzano il “voto limitato” già sperimentato con scarso successo alla fine dell’ottocento (sic!) e lo scopo ultimo conseguito è il regime delle oligarchie di partito. Il solo modo per evitare simili e altre amare prospettive è di sapere ex ante a cosa mira e dove porta un determinato sistema. Per questo bisogna incalzare i partiti e i politici tutti a mettere in chiaro le specifiche dei loro progetti di legge che sono, appunto, l’elenco dettagliato delle esigenze, dei bisogni e dei requisiti che vogliono soddisfare con le loro proposte.
     A tal fine è fondamentale il ruolo della stampa, perché i rischi di una ricaduta sono dietro l’angolo. Un solo esempio: scottati dalle liste bloccate, molti invocano il voto di preferenza. Ma attenzione, se questo sarà associato a Circoscrizioni plurinominali molto vaste, ancora una volta avranno mano libera le segreterie di partito; prevarranno i candidati con grandi budget di spesa, i volti noti (il più delle volte per ragioni diverse dalle capacità politiche o amministrative), i paracadutati, i “sempieterni”, con il rischio (quasi la certezza) che porzioni importanti della società civile e del territorio non avranno un proprio rappresentante tra gli eletti. E, peggio ancora, che resteranno fuori molte persone competenti, nelle mentre le istituzioni elettive saranno occupate da altri con minori competenze, per non parlare di vocazione al bene comune e altri aspetti etici. 
                                                                                                 umuzzatti@gmail.com