La
responsabilità deve essere l’atteggiamento e la condizione a base dell’azione
pubblica e privata. Solo il comportamento
responsabile dei singoli, dei gruppi e delle organizzazioni - sociali,
politiche, istituzionali - può invertire la tendenza e creare le condizioni per
una ripartenza della regione e del paese. Soprattutto ora, dopo lo shock
provocato dal virus.
Qualche tempo fa sono passato da Feletto Umberto, il paese, vicino
a Udine un poco fuori mano. Con il navigatore ho calcolato che dista 41
chilometri da Castelnovo del Friuli, il paese dove ho frequentato le scuole
elementari e, secondo lo strumento, ci vogliono un’ora di autovettura per
coprire la distanza.
Una mia maestra percorreva questa distanza con la Lambretta, negli
anni Cinquanta, e allora non tutte le strade erano asfaltate. Tutti i giorni,
andata e ritorno. Era puntuale, si cominciava alle otto e trenta e si finiva
all’una meno un quarto, per recuperare i quindici minuti di ricreazione. In due
anni d’insegnamento, mancò un solo giorno, lo ricordo bene perché ci fu una grande
nevicata e, appunto, l’avvenimento della maestra che non poté arrivare. Pioveva
e nevicava, allora anche più di adesso, ma lei puntuale alle otto e quindici
parcheggiava la Lambretta e all’orario stabilito teneva lezione. Non si
sgarrava di un minuto, né all’inizio né in chiusura né per la ricreazione.
Era una scuola in collina di due sole pluriclassi, l’edificio era
isolato rispetto alle case sparse del “paese che non c’è” (Castelnovo ha solo
frazioni). La direzione didattica era situata a Pinzano al Tagliamento a una
decina di chilometri. Ricordo bene che il direttore veniva a visitare la scuola
una sola volta l’anno. Le due maestre (si) gestivano da sole la didattica e
ogni aspetto connesso. Il Comune si occupava esclusivamente dell’eventuale
manutenzione dell’edificio e per la pulizia provvedeva una signora che abitava
nelle vicinanze. Non si parlava ancora di bidelli o di ausiliari strutturati.
Insomma, per farla breve, il tutto era sotto la responsabilità delle maestre,
ognuna per le sue classi.
Quelle maestre furono veramente, totalmente ed efficacemente
responsabili. Lo possono assicurare i discenti di allora. Lo furono pur non
avendo controlli ravvicinati, gerarchici, funzionali, terzi o interessati. Nel
nostro caso il controllo era quasi nullo, loro lo sapevano, eppure facevano
tutti i giorni, per l’intero anno scolastico il loro dovere. Erano
“intrinsecamente” responsabili.
Si dice spesso che bisogna recuperare l’etica, il senso del
dovere, per riannodare i fili di una società in degrado; per ridare fiducia ai
cittadini soprattutto nei confronti delle istituzioni, delle amministrazioni,
degli enti che costituiscono, nell’insieme, lo Stato. Ebbene, prima e più di
tutto, per un vero recupero va reintrodotta la responsabilità, a tutti i
livelli. Bisogna che tutti siano responsabili, nel loro lavoro, nelle loro
funzioni. Bisogna che ognuno, in ogni luogo, pubblico o privato, prenda
consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti e modi di agire che
ne derivano. In ogni contesto deve essere assicurata la condizione di dovere
rendere conto di atti, avvenimenti e situazioni in cui si ha una parte, un
ruolo. Solo così l’Italia può ripartire e rimanere agganciata al treno
dell’Europa.
E prima ancora deve farlo la regione Friuli-Venezia Giulia, ove ci
fu una grande assunzione di responsabilità, pubblica e privata, nella tragica
occasione del terremoto e della ricostruzione negli anni ’70 e ’80 del secolo
scorso. Al tempo del Corona virus è di nuovo il momento di una generale e
incondizionata assunzione di responsabilità per il rilancio del Friuli in tempi
ragionevoli.
Infine, per ricordare costantemente a tutti – soprattutto ai
vertici della burocrazia– il proprio ruolo, bisognerebbe eliminare la parola
“dirigente” e sostituirla con “responsabile”.