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sabato 8 febbraio 2014

GIORNO DEL RICORDO

UNA FOIBA TRA I PASCOLI
La fóus di Balanceta sul monte Cjaurleç  in  Friuli
Ricordo triste della narrazione di un "testimone"

In Italia facciamo ancora fatica a rimarginare le ferite della seconda guerra mondiale, soprattutto le lacerazioni degli ultimi venti mesi, dall’otto settembre del 1943 al maggio del 1945. Ciò è dovuto al fatto che non abbiamo saputo (o voluto) fare apertamente e completamente i conti con la storia e tutte le vicende che in essa si sono succedute. Vicende che sono affatto lineari e bensì molto intricate, a volte contraddittorie, spesso drammatiche. Siamo pronti a riconoscere i crimini degli “altri”, connazionali o stranieri, e commemorarne le vittime ma non amiamo ricordare le “nostre cadute” che pure ci sono state. Tanto che molti tragici episodi che ci riguardano da vicino sono ancora sconosciuti alla maggioranza degli italiani. E poco noti persino nei luoghi dove sono avvenuti.

      In questo clima spesso è venuta a mancare persino la pietas per i caduti del fronte avverso, a volte uccisi senza colpa e in modo orribile. A Castelnovo del Friuli, in provincia di Pordenone, senza clamore, hanno dato dignità a tutti i morti, per causa degli eventi bellici, di quella terribile stagione. Infatti, a fianco dei soldati caduti nei primi anni del conflitto, sono riportati i dieci partigiani immolati per la libertà e il riscatto dell’Italia, tra cui la medaglia d’oro Virginia Tonelli, uccisa nella risiera di San Sabba a Trieste, un deportato in Germania, due volontari garibaldini caduti nella guerra civile spagnola e tre militi della R.S.I.. Alla guerra di liberazione, Castelnovo e gli altri comuni della pedemontana occidentale friulana, hanno dato un contributo di uomini, mezzi e sacrificio, eccezionale. Basterà ricordare che una delle prime azioni della resistenza italiana avvenne a Paludea, sede municipale del “paese che non c’è”, contro una colonna tedesca in transito; che uno dei più importanti comandi partigiani era situato nel castello Ceconi di Pielungo. Tra i martiri, trucidati dai nazifascisti, oltre alla Tonelli, bisogna ricordare almeno il diciannovenne Primo Zanetti, impiccato alla torre occidentale di Spilimbergo e il quindicenne Giovanni Missana, impiccato a un lampione del suo paese, Valeriano.

     Ai confini tra Castelnovo del Friuli, Clauzetto, Tramonti di Sotto, Meduno e Travesio si trova il monte Cjaurleç, in loco chiamato Turié. Su questa montagna, durante tutta la resistenza trovarono rifugio e base d’azione le formazioni partigiane. Le ragioni dell’acquartieramento si spiegano con la presenza di numerosi stavoli, usati normalmente per la monticatura estiva, la relativa vicinanza ai centri di pianura e alle vie di comunicazione e una discreta possibilità di difesa o sganciamento in caso di attacchi e rastrellamenti. La montagna, che si affaccia sulla pianura friulana, sopra Spilimbergo, è alta poco più di millecento metri, ha una forma tondeggiante e, su declivi non ripidi, si stendono ampi pascoli. Non di meno è insidiosa, per uomini e bestiame, a causa di alcuni inghiottitoi carsici, chiamati fóus.

     Su queste cavità, durante gli ultimi mesi di guerra, cominciarono a circolare voci inquietanti. Si diceva che vi fossero gettati i soggetti, civili o belligeranti, “giustiziati” dai partigiani, per essere spie, delatori, collaborazionisti, i primi; nemici o traditori i secondi. In quel drammatico periodo, nella pedemontana spilimberghese, furono prelevati o catturati e poi soppressi e occultati 38 civili, da parte di elementi armati qualificati o sedicenti o supposti partigiani. Bisogna ricordare che dopo l’otto settembre del ’43 circolavano liberamente molte armi e che negli ultimi mesi di guerra “saltarono” sul carro della resistenza anche personaggi non esclusivamente animati da spirito patriottico e senso civico. E’ certo, però, che il monte Cjaurleç, dal dicembre del 1943 alla fine della guerra fu costantemente presidiato da formazioni partigiane facenti parte del Corpo Volontari della Libertà.

      I corpi di 31 dei civili scomparsi furono progressivamente trovati, durante o subito dopo la guerra, abbandonati nei boschi, sui pascoli o sotto pochi centimetri di terra. Ne mancavano all’appello sette e le voci sul loro possibile infoibamento, sul monte Cjaurleç, si facevano insistenti e circostanziate. Tanto che, nella primavera del 1946, le Forze di Polizia Giudiziaria di Trieste, allora sotto il Governo Militare Alleato, salirono sul monte e, dalla fóus di Balanceta, profonda 80 metri, recuperarono 11 salme. Sette di queste, riconosciute, risultarono essere di civili “scomparsi” da Castelnovo del Friuli (2), Travesio (4), Meduno (1). Di queste cinque erano donne, dai 23 ai 48 anni. Tra i quattro non riconosciuti c’erano sicuramente un militare tedesco e un italiano repubblichino, degli altri due si è ipotizzato che potessero essere civili non del luogo o anche partigiani giustiziati dai loro colleghi per uno dei casi previsti dalle regole che si erano dati. Tra questi, a seguito di una circolare emessa nel settembre 1944, dal comando del “Brigata Garibaldi Tagliamento” figuravano anche le “fucilazioni erronee, senza informazioni dei responsabili del terreno e senza capi d’accusa sufficienti”. Questa circolare doveva essere motivata, e produsse il suo effetto, poiché dei 38 civili, di cui si è detto, solo 6 furono “prelevati” dal mese di ottobre 1944 alla fine della guerra.

La fòus di Balanceta sul monte Ciaulec - Travesio (Pn)

     Chi volesse conferme o maggiori dettagli, può leggere i libri del professor Guido Rumici e, soprattutto, le ricerche pubblicate dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e dall’Istituto per la Storia del Movimento di liberazione di Udine e Pordenone. Chi vorrà, invece, salire alla fóus di Balanceta, da Travesio per il borgo abbandonato di Praforte, vi troverà sul ciglio una croce di legno con una targa che ricorda quanti, vi furono gettati “forse ancora vivi” e auspica “che questo non accada più”. Tutti dobbiamo sperare e soprattutto operare perché l’auspicio si avveri. Per il primo inciso, invece, possiamo solo augurare che non sia stata possibile una simile atrocità, ma alcuni elementi e qualche testimonianza fanno ritenere che almeno in un caso, sul monte Ciaurlec, sia stata smarrita l’essenza umana. Io stesso ho avuto occasione di ascoltare, casualmente, la ricostruzione di un infoibamento da parte di uno dei “protagonisti”. Sono passati cinquant’anni, ma non ho mai potuto dimenticare la crudezza di quel racconto, fatta al riparo delle amnistie e degli indulti che si susseguirono dal 1946 agli anni Sessanta.

Era d’estate, con un gruppetto d’amici sedevamo ai tavoli esterni di un bar di Travesio, che dà sulla piazza. In uno dei tavoli adiacenti sedevano tre uomini, di cui uno, spavaldo (e Dio voglia bugiardo e mitomane), recitava il ruolo del protagonista rispondendo alle domande che gli ponevano gli altri due. Noi, poco più che adolescenti, non ci badavamo. Ma la mia attenzione fu catturata quando l’uomo fece dei nomi di persone emigrate in Venezuela e, tra queste, una di mia conoscenza. Dal discorso si capiva che lui era rimpatriato perché “non aveva più nulla da temere”. Da qui il discorso girò sulla guerra partigiana, alla quale aveva attivamente partecipato. Gli interlocutori gli ponevano domande tipo: “Chi c’era quando fu fatto saltare il treno? ...e la polveriera? …e dove eravate durante il rastrellamento del ’44?”. Egli rispondeva con sicurezza e dovizia di particolari. Finché, abbassando la voce, uno gli chiese:

E quanch’o  veis cjapade la siore …, eristu ancje tu?” .
“Po’ sigûr – rispose l’interrogato – o jerin jò, ..., ... e ...”.
“E cemût ise lade?”
“L’avin puartade su in Turié e butade ta la fóus di Balanceta.”
“Vive?”
“Po’ sigûr, ma a ê restade picjade pa’ la cotule t’une crete”.
“E po’ dopo?
“E â pigulât par tre dìs e po’ a no si ê sintût plui nuje!”


Poi tacquero tutti. Anche noi ragazzi. Era d’estate verso sera, dal Cjaurleç calava la brezza…

                                                                                           umuzzatti@gmail.com


"- E quando avete catturato la signora..., c'eri? 
  - Sicuro, eravamo io, ..., ... e....
  - E come è andata?
  - L'abbiano portata sul monte Ciaurlec e buttata nella foiba...
  -Viva?
  -Sicuro, ma è rimasta impigliata per la gonna in uno sperone di roccia.
  -E poi?
  -..... .... .... .... .... .... e poi non si è udito più nulla! "