UNA FOIBA TRA I PASCOLI
La fóus di Balanceta sul monte Cjaurleç in Friuli
Ricordo triste della narrazione di un "testimone"
In Italia facciamo ancora fatica a rimarginare le ferite
della seconda guerra mondiale, soprattutto le lacerazioni degli ultimi venti
mesi, dall’otto settembre del 1943 al maggio del 1945. Ciò è dovuto al fatto
che non abbiamo saputo (o voluto) fare apertamente e completamente i conti con
la storia e tutte le vicende che in essa si sono succedute. Vicende che sono
affatto lineari e bensì molto intricate, a volte contraddittorie, spesso drammatiche.
Siamo pronti a riconoscere i crimini degli “altri”, connazionali o stranieri, e
commemorarne le vittime ma non amiamo ricordare le “nostre cadute” che pure ci
sono state. Tanto che molti tragici episodi che ci riguardano da vicino sono
ancora sconosciuti alla maggioranza degli italiani. E poco noti persino nei luoghi
dove sono avvenuti.
In questo
clima spesso è venuta a mancare persino la pietas per i caduti del fronte
avverso, a volte uccisi senza colpa e in modo orribile. A Castelnovo del
Friuli, in provincia di Pordenone, senza clamore, hanno dato dignità a tutti i
morti, per causa degli eventi bellici, di quella terribile stagione. Infatti, a
fianco dei soldati caduti nei primi anni del conflitto, sono riportati i dieci
partigiani immolati per la libertà e il riscatto dell’Italia, tra cui la
medaglia d’oro Virginia Tonelli, uccisa nella risiera di San Sabba a Trieste,
un deportato in Germania, due volontari garibaldini caduti nella guerra civile
spagnola e tre militi della R.S.I.. Alla guerra di liberazione, Castelnovo e
gli altri comuni della pedemontana occidentale friulana, hanno dato un
contributo di uomini, mezzi e sacrificio, eccezionale. Basterà ricordare che
una delle prime azioni della resistenza italiana avvenne a Paludea, sede
municipale del “paese che non c’è”, contro una colonna tedesca in transito; che
uno dei più importanti comandi partigiani era situato nel castello Ceconi di
Pielungo. Tra i martiri, trucidati dai nazifascisti, oltre alla Tonelli,
bisogna ricordare almeno il diciannovenne Primo Zanetti, impiccato alla torre
occidentale di Spilimbergo e il quindicenne Giovanni Missana, impiccato a un
lampione del suo paese, Valeriano.
Ai confini tra
Castelnovo del Friuli, Clauzetto, Tramonti di Sotto, Meduno e Travesio si trova
il monte Cjaurleç, in loco chiamato Turié. Su questa montagna, durante tutta la
resistenza trovarono rifugio e base d’azione le formazioni partigiane. Le
ragioni dell’acquartieramento si spiegano con la presenza di numerosi stavoli,
usati normalmente per la monticatura estiva, la relativa vicinanza ai centri di
pianura e alle vie di comunicazione e una discreta possibilità di difesa o
sganciamento in caso di attacchi e rastrellamenti. La montagna, che si affaccia
sulla pianura friulana, sopra Spilimbergo, è alta poco più di millecento metri,
ha una forma tondeggiante e, su declivi non ripidi, si stendono ampi pascoli.
Non di meno è insidiosa, per uomini e bestiame, a causa di alcuni inghiottitoi
carsici, chiamati fóus.
Su queste
cavità, durante gli ultimi mesi di guerra, cominciarono a circolare voci
inquietanti. Si diceva che vi fossero gettati i soggetti, civili o
belligeranti, “giustiziati” dai partigiani, per essere spie, delatori,
collaborazionisti, i primi; nemici o traditori i secondi. In quel drammatico
periodo, nella pedemontana spilimberghese, furono prelevati o catturati e poi
soppressi e occultati 38 civili, da parte di elementi armati qualificati o
sedicenti o supposti partigiani. Bisogna ricordare che dopo l’otto settembre
del ’43 circolavano liberamente molte armi e che negli ultimi mesi di guerra
“saltarono” sul carro della resistenza anche personaggi non esclusivamente
animati da spirito patriottico e senso civico. E’ certo, però, che il monte Cjaurleç,
dal dicembre del 1943 alla fine della guerra fu costantemente presidiato da
formazioni partigiane facenti parte del Corpo Volontari della Libertà.
I corpi di 31
dei civili scomparsi furono progressivamente trovati, durante o subito dopo la
guerra, abbandonati nei boschi, sui pascoli o sotto pochi centimetri di terra.
Ne mancavano all’appello sette e le voci sul loro possibile infoibamento, sul
monte Cjaurleç, si facevano insistenti e circostanziate. Tanto che, nella
primavera del 1946, le Forze di Polizia Giudiziaria di Trieste, allora sotto il
Governo Militare Alleato, salirono sul monte e, dalla fóus di Balanceta, profonda 80 metri, recuperarono 11 salme. Sette
di queste, riconosciute, risultarono essere di civili “scomparsi” da Castelnovo
del Friuli (2), Travesio (4), Meduno (1). Di queste cinque erano donne, dai 23
ai 48 anni. Tra i quattro non riconosciuti c’erano sicuramente un militare
tedesco e un italiano repubblichino, degli altri due si è ipotizzato che
potessero essere civili non del luogo o anche partigiani giustiziati dai loro
colleghi per uno dei casi previsti dalle regole che si erano dati. Tra questi,
a seguito di una circolare emessa nel settembre 1944, dal comando del “Brigata
Garibaldi Tagliamento” figuravano anche le “fucilazioni erronee, senza
informazioni dei responsabili del terreno e senza capi d’accusa sufficienti”. Questa
circolare doveva essere motivata, e produsse il suo effetto, poiché dei 38
civili, di cui si è detto, solo 6 furono “prelevati” dal mese di ottobre 1944
alla fine della guerra.
Chi volesse
conferme o maggiori dettagli, può leggere i libri del professor Guido Rumici e,
soprattutto, le ricerche pubblicate dall’Associazione Nazionale Partigiani
d’Italia e dall’Istituto per la Storia del Movimento di liberazione di Udine e
Pordenone. Chi vorrà, invece, salire alla fóus
di Balanceta, da Travesio per il borgo abbandonato di Praforte, vi troverà
sul ciglio una croce di legno con una targa che ricorda quanti, vi furono
gettati “forse ancora vivi” e auspica “che questo non accada più”. Tutti dobbiamo
sperare e soprattutto operare perché l’auspicio si avveri. Per il primo inciso,
invece, possiamo solo augurare che non sia stata possibile una simile atrocità,
ma alcuni elementi e qualche testimonianza fanno ritenere che almeno in un
caso, sul monte Ciaurlec, sia stata smarrita l’essenza umana. Io stesso ho
avuto occasione di ascoltare, casualmente, la ricostruzione di un infoibamento
da parte di uno dei “protagonisti”. Sono passati cinquant’anni, ma non ho mai
potuto dimenticare la crudezza di quel racconto, fatta al riparo delle amnistie
e degli indulti che si susseguirono dal 1946 agli anni Sessanta.
Era d’estate, con un gruppetto d’amici sedevamo ai tavoli
esterni di un bar di Travesio, che dà sulla piazza. In uno dei tavoli adiacenti
sedevano tre uomini, di cui uno, spavaldo (e Dio voglia bugiardo e mitomane),
recitava il ruolo del protagonista rispondendo alle domande che gli ponevano
gli altri due. Noi, poco più che adolescenti, non ci badavamo. Ma la mia
attenzione fu catturata quando l’uomo fece dei nomi di persone emigrate in
Venezuela e, tra queste, una di mia conoscenza. Dal discorso si capiva che lui
era rimpatriato perché “non aveva più nulla da temere”. Da qui il discorso girò
sulla guerra partigiana, alla quale aveva attivamente partecipato. Gli
interlocutori gli ponevano domande tipo: “Chi c’era quando fu fatto saltare il
treno? ...e la polveriera? …e dove eravate durante il rastrellamento del ’44?”.
Egli rispondeva con sicurezza e dovizia di particolari. Finché, abbassando la
voce, uno gli chiese:
“E quanch’o veis cjapade la siore …, eristu ancje tu?” .
“Po’ sigûr – rispose l’interrogato – o jerin jò, ..., ... e ...”.
“E cemût ise lade?”
“L’avin puartade su
in Turié e butade ta la fóus di Balanceta.”
“Vive?”
“Po’ sigûr, ma a ê
restade picjade pa’ la cotule t’une crete”.
“E po’ dopo?
“E â pigulât par
tre dìs e po’ a no si ê sintût plui nuje!”
Poi tacquero tutti. Anche noi ragazzi. Era d’estate verso
sera, dal Cjaurleç calava la brezza…
"- E quando avete catturato la signora..., c'eri?
- Sicuro, eravamo io, ..., ... e....
- E come è andata?
- L'abbiano portata sul monte Ciaurlec e buttata nella foiba...
-Viva?
-Sicuro, ma è rimasta impigliata per la gonna in uno sperone di roccia.
-E poi?
-..... .... .... .... .... .... e poi non si è udito più nulla! "