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mercoledì 12 giugno 2013

IL NEO-CENTRALISMO ITALIANO, PERICOLO DA EVITARE

Il policentrismo, di cento città e migliaia di borghi, ha fatto grande e bella l’Italia.
Il neo-centralismo rischia di distruggere un patrimonio di inestimabile valore che il mondo ci invidia.
L’Italia deve il suo primato mondiale in fatto di beni artistici, architettonici e urbanistici al policentrismo che l’ha caratterizzata per secoli, soprattutto durante il Rinascimento. Non solo, sino oltre l’unità dello Stato, gli italiani hanno continuato a sviluppare le rispettive culture regionali e locali. Il policentrismo politico e amministrativo preunitario è alla base della varietà e ricchezza delle espressioni culturali e artistiche presenti sul territorio nazionale. L’Italia è variamente bella, ben oltre a quanto le ha donato madre natura, perché centinaia di città e migliaia di borghi hanno potuto svilupparsi con elevati gradi di autonomia, coltivando ciascuno i propri talenti.
     Poi le esigenze dello Stato unitario hanno ridotto progressivamente l’autonomia delle comunità regionali e locali e avviato il processo di omologazione nazionale che è andato ben oltre l’unificazione linguistica e la parificazione dei cittadini. La Costituzione repubblicana con l’articolo 5 si prefiggeva e si prefigge ancora di “promuovere le autonomie locali; attuare nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adeguare i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.” A distanza di oltre 60 anni questo principio appare ancora inapplicato e, anzi, proprio negli ultimi tempi sono stati proposti e in parte varati provvedimenti che reintroducono o rafforzano l’accentramento o meglio le varie forme di centralismo presenti in Italia.
     L’Italia è diventata, di fatto, un paese pluri-centralistico o “centralistico multilivello” che si voglia dire. In subordine al centralismo statale si è sviluppato quello delle regioni, nello stesso tempo non siamo stati ancora capaci di eliminare almeno quello delle province. Tra i borghi più belli d’Italia sono annoverate molte frazioni, ovvero paesi che non fanno nemmeno comune, ma che in passato hanno avuto la capacità (e la possibilità) di edificare in autonomia qualcosa di unico ed eccellente. La cosa è irripetibile ai giorni nostri perché le frazioni subiscono il quarto grado del centralismo italiano, quello del capoluogo comunale.
     In questa situazione si assiste a una serie di provvedimenti, statali e regionali, che possono essere definiti neo-centralisti. Tali sono i provvedimenti che accentrano gli uffici giudiziari, tagliando i piccoli tribunali e persino i giudici di pace; il ventilato accorpamento (e non la soppressione) delle province; la chiusura di molti ospedali (e passi nel nome della specializzazione) e delle aziende sanitarie e persino dei distretti socio-sanitari, compromettendo la prevenzione sul territorio. Si vogliono accorpare le Prefetture (e passi, che in altri stati le hanno già soppresse) e pure le Questure, i Commissariati e le stazioni dei Carabinieri che sono presidio del territorio e sicurezza per i cittadini. Si potrebbe continuare in questo modo per tutti i settori di competenza di Stato e regioni. L’imperativo è tagliare, ridurre (e ci può stare) con conseguente accentramento-concentramento nelle città maggiori, e non va bene.
     La gente è inevitabilmente costretta a spostarsi dove sono attivi i servizi, da prima con il pendolarismo e poi andando a risiedervi. Ciò ha già comportato il calo demografico e l’abbandono del territorio, soprattutto montano e collinare, con conseguente depauperamento, dissesto idrogeologico e paesaggistico. Sono in sofferenza non solo i piccoli borghi, ma anche le medie cittadine che costituivano il reticolo policentrico italiano, il raccordo tra i centri urbani e i paesi di minore dimensione. L’altra faccia della medaglia è l’inurbamento della popolazione con gli effetti negativi che sono sotto gli occhi di tutti: cementificazione incontrollata, prezzi delle case elevati, servizi scadenti, tensioni sociali, inquinamento, …
     Con i provvedimenti neo-centralsitici varati o in progetto si accentueranno tutti gli effetti negativi appena accennati qui sopra. Si andrà al definitivo abbandono della montagna e dei territori rurali, si metteranno in crisi i medi centri. Le città ove si concentrano i servizi, rischiano una crescita quantitativa che sarà difficile definire sviluppo. I costi complessivi saranno enormi, nonostante le operazioni di accentramento vengano ufficialmente giustificate con l’esigenza di risparmiare. Si pensi al valore del patrimonio che viene dissipato quando si spopola e si abbandona un paese: case, fabbricati vari, strade, acquedotti, reti elettriche, telefoniche, ecc. Tutto questo dovrà essere ricostruito da un'altra parte per la popolazione migrata. Altro che risparmio. E non ci sono solo i costi materiali, ovviamente.
                                                                                              umuzzatti@gmail.com

  

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