Il
policentrismo, di cento città e migliaia di borghi, ha fatto grande e bella l’Italia.
Il neo-centralismo
rischia di distruggere un patrimonio di inestimabile valore che il mondo ci invidia.
L’Italia deve il suo
primato mondiale in fatto di beni artistici, architettonici e urbanistici al policentrismo che l’ha caratterizzata
per secoli, soprattutto durante il Rinascimento. Non solo, sino oltre l’unità
dello Stato, gli italiani hanno continuato a sviluppare le rispettive culture
regionali e locali. Il policentrismo politico e amministrativo preunitario è
alla base della varietà e ricchezza delle espressioni culturali e artistiche
presenti sul territorio nazionale. L’Italia è variamente bella, ben oltre a
quanto le ha donato madre natura, perché centinaia di città e migliaia di
borghi hanno potuto svilupparsi con elevati gradi di autonomia, coltivando
ciascuno i propri talenti.
Poi le esigenze dello Stato unitario hanno
ridotto progressivamente l’autonomia
delle comunità regionali e locali e avviato il processo di omologazione
nazionale che è andato ben oltre l’unificazione linguistica e la parificazione
dei cittadini. La Costituzione repubblicana con l’articolo 5 si prefiggeva e si
prefigge ancora di “promuovere le autonomie locali; attuare nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adeguare i
principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del
decentramento.” A distanza di oltre 60 anni questo principio appare ancora
inapplicato e, anzi, proprio negli ultimi tempi sono stati proposti e in parte
varati provvedimenti che reintroducono o rafforzano l’accentramento o meglio le
varie forme di centralismo presenti in Italia.
L’Italia è diventata, di fatto, un paese pluri-centralistico o “centralistico multilivello” che si
voglia dire. In subordine al centralismo statale si è sviluppato quello delle
regioni, nello stesso tempo non siamo stati ancora capaci di eliminare almeno
quello delle province. Tra i borghi più belli d’Italia sono annoverate molte
frazioni, ovvero paesi che non fanno nemmeno comune, ma che in passato hanno
avuto la capacità (e la possibilità) di edificare in autonomia qualcosa di
unico ed eccellente. La cosa è irripetibile ai giorni nostri perché le frazioni
subiscono il quarto grado del centralismo italiano, quello del capoluogo
comunale.
In questa situazione si assiste a una
serie di provvedimenti, statali e regionali, che possono essere definiti neo-centralisti. Tali sono i
provvedimenti che accentrano gli uffici giudiziari, tagliando i piccoli
tribunali e persino i giudici di pace; il ventilato accorpamento (e non la
soppressione) delle province; la chiusura di molti ospedali (e passi nel nome
della specializzazione) e delle aziende sanitarie e persino dei distretti
socio-sanitari, compromettendo la prevenzione sul territorio. Si vogliono accorpare
le Prefetture (e passi, che in altri stati le hanno già soppresse) e pure le Questure,
i Commissariati e le stazioni dei Carabinieri che sono presidio del territorio
e sicurezza per i cittadini. Si potrebbe continuare in questo modo per tutti i
settori di competenza di Stato e regioni. L’imperativo è tagliare, ridurre (e
ci può stare) con conseguente accentramento-concentramento
nelle città maggiori, e non va bene.
La gente è inevitabilmente costretta a
spostarsi dove sono attivi i servizi, da prima con il pendolarismo e poi
andando a risiedervi. Ciò ha già comportato il calo demografico e l’abbandono del
territorio, soprattutto montano e collinare, con conseguente depauperamento,
dissesto idrogeologico e paesaggistico. Sono in sofferenza non solo i piccoli
borghi, ma anche le medie cittadine che costituivano il reticolo policentrico
italiano, il raccordo tra i centri urbani e i paesi di minore dimensione. L’altra
faccia della medaglia è l’inurbamento della popolazione con gli effetti
negativi che sono sotto gli occhi di tutti: cementificazione incontrollata,
prezzi delle case elevati, servizi scadenti, tensioni sociali, inquinamento, …
Con i provvedimenti
neo-centralsitici varati o in progetto si accentueranno tutti gli effetti
negativi appena accennati qui sopra. Si andrà al definitivo abbandono della
montagna e dei territori rurali, si metteranno in crisi i medi centri. Le città
ove si concentrano i servizi, rischiano una crescita quantitativa che sarà
difficile definire sviluppo. I costi complessivi saranno enormi, nonostante le
operazioni di accentramento vengano ufficialmente giustificate con l’esigenza
di risparmiare. Si pensi al valore del patrimonio che viene dissipato quando si
spopola e si abbandona un paese: case, fabbricati vari, strade, acquedotti,
reti elettriche, telefoniche, ecc. Tutto questo dovrà essere ricostruito da un'altra
parte per la popolazione migrata. Altro che risparmio. E non ci sono solo i
costi materiali, ovviamente.
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