La storia di un
giovane militare italiano prigioniero nel campo di Görlitz.
Dove fu prigioniero
il musicista francese Olivier Messiaen
che vi compose il “Quatuor pour la fin du Temps”.
La locandina della prima eseguita nel campo di prigionia |
Quel 27 novembre 1943, il postino di Tramonti di Sotto
cambiò il giro di distribuzione e s’infilò, prima di ogni cosa, nel portone
della Palcodana, in via Manzoni. Teneva
già in mano una cartolina, attesa, in una delle case del cortile, con
sentimenti contrastanti di speranza e di apprensione. Egli conosceva bene i
vari tipi di cartoncini, color seppia o carta da zucchero, che recapitava alle
famiglie in quegli anni di guerra. Vi erano quelli del Distretto Militare, che
annunciavano un caduto o un disperso e che gettavano nella disperazione le
famiglie, soprattutto le donne: madri, sorelle, mogli, promesse. Poi quelli
della Croce Rossa Italiana, più interlocutori, che qualche speranza la lasciavano,
anche se spesso risultava vana. Questa, scritta l’undici novembre, spedita il diciassette
e giunta a Tramonti dieci giorni dopo, era diversa: una “Kriegsgefangenenpost”,
ovvero una corrispondenza dei prigionieri di guerra, giunta “in porto franco” dal
M-Stammlager
VIII A – Deutschland. Non
fossero tragiche le circostanze e sciagurate le ragioni di questi documenti, se
ne potrebbe – ancora oggi – notare la precisione teutonica. Destinataria: Signora Miniutti Maria; luogo di
destinazione: Tramonti di Sotto, Via
Manzoni N° 93 (Pa Udine); mittente: Rugo Elio. Il frontespizio, come il
testo sul retro, erano scritti in una stessa bella calligrafia; il “Gefangenennummer”
(numero del prigioniero), invece, era chiaramente scritto da altra mano, meno
distesa, più apprensiva, quasi a marcare l’infamia di chi aveva introdotto e
gestiva questo sistema numerario. In quel tragico novembre il giovane
(diciannove anni compiuti da poco), rinchiuso nello Stammlager, scriveva ed era
lui a dare forza e conforto:
Fronte e retro della cartolina spedita dal campo di prigionia tedesco |
“Carissima Mamma ti faccio sapere che io sto
bene, così spero sia anche di te, Sorella e Nonna. Mi farete sapere come vi
trovate voi tutti. Nel rimanente foglietto scrivetemi come vi trovate.
Informatevi se si può mandarmi un pacco, mandatemi fumare e mangiare e
calzetti. Datevi coraggio e non pensate di me. Resto salutandoti Te, Nonna e
Sorella, tanti baci tuo figlio Rugo Elio”.
Elio
era stato chiamato alle armi l’otto settembre 1942, aveva compiuto diciotto
anni da appena tre mesi. Esattamente un anno dopo, 8 settembre 1943, l’Italia
firmò la pace separata con gli alleati e giusto il giorno appresso, il 9
settembre, egli fu catturato prigioniero dai tedeschi a Gorizia e internato in
Germania. Con un commilitone, al concitato “rompete le righe”, si era buttato per
il Natisone con l’intento di guadarlo e prendere la strada di casa. Sennonché,
i tedeschi – sull’avviso da giorni, al contrario dei comandanti italiani - li
intercettarono immediatamente. Al rabbioso: “Stopp auffangen”, Elio si
fermò alzando le mani. L’amico, invece, tentò una fuga disperata. Una raffica
di MP40 lo colse in mezzo alla
corrente e, ancora, il fiume si tinse di sangue.
Rugo Elio chiamato alle armi nel 1942 a 18 anni e fatto prigioniero il 9 settembre 1943 |
Da allora, a Tramonti, nulla
si era saputo di lui, sino a novembre quando fu recapitata la cartolina. Non
sappiamo con quali sentimenti venne accolta, ma c’è da augurarsi che allora non
si sapesse cosa stava accadendo in Germania e cosa significasse M-Stammlager.
Anche se ora sappiamo che questi campi, gestiti dall’esercito e destinati agli Internati
Militari Italiani, erano diversi da quelli di sterminio, ma lo erano anche da
quelli destinati ai prigionieri di guerra. Agli italiani, infatti, i tedeschi
non riconobbero lo status di prigioniero in modo da giustificare, nei loro
confronti, l’esclusione dai diritti riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra. Le
condizioni nei campi erano durissime e gli internati italiani furono messi al
lavoro coatto. L’orario settimanale era in media di 57,4 ore e nelle miniere di
52,1 (circa nove ore giornaliere). Dei circa 650.000 internati (800.000 secondo
altre fonti) da 40 a 50.000 perirono nei lager: 10.000 per la durezza e la
pericolosità del lavoro, 23.000 per malattie e malnutrizione, 2.700 a causa dei
bombardamenti alleati, 5-7.000 perirono sul fronte orientale e 4.600 furono le
esecuzioni capitali, comminate dai tedeschi anche per motivi risibili o per
mera rappresaglia. Elio stesso raccontò di essere scampato alla forca,
installata nella spianata dell’appello, solo in ragione della sua corporatura
minuta che lo faceva sembrare ancor più giovane dei diciannove anni che aveva.
Motivo della sentenza: la raccolta di bucce di patata dai rifiuti delle cucine.
Raccontava anche di aver potuto resistere e sopravvivere grazie alle bucce e
qualche pezzetto di pane che gli serbava e passava attraverso la rete delle due
sezioni, maschile e femminile, una giovane prigioniera russa: un altro piccolo
esempio di come nemmeno l’inferno in terra, com’è stato giustamente definito il
lager, può sopprimere l’essenza
umana. Nell’agosto del 1945, quando, a quattro mesi dalla fine della guerra, i
prigionieri furono definitivamente liberati, i due giovani si incamminarono
insieme verso sud nell’intento di raggiungere l’Italia. Approssimandosi al
Friuli, Elio raccolse la voce che Tramonti di Sotto era stata bruciata dai
tedeschi per rappresaglia e che molti abitanti vi erano periti. Il nuovo
durissimo colpo, il timore di non ritrovare la casa e i parenti, lo indussero a
separarsi dalla giovane russa e proseguire da solo con i più tristi presagi.
Scoprì più avanti che il paese bruciato era Forni di Sotto e non Tramonti, un
malinteso che aggiunse altre pene a chi già tanto aveva sofferto.
Lo Stammlager
VIII A, situato a Görlitz, nel sud-est della Germania,
era già stato liberato dai sovietici, durante la loro avanzata, il 14 febbraio
del 1945. Qui erano stati concentrati anche dei prigionieri russi, 12.000 dei
quali vi avevano trovato la morte. Per questo, il comando russo fu irremovibile
e il Kapò
fu giustiziato immediatamente con la forca issata da lui stesso nella spianata
dell’appello. La corda era già stata ritirata, toccò al prigioniero più giovane
issarsi sulla trave e rimetterla in sede. Al resto pensarono i prigionieri più
anziani e i liberatori. I tempi e le circostanze non permisero esiti diversi. Il
proseguio della guerra sino a maggio e la complessa situazione che ne seguì
costrinsero gli ex prigionieri del campo a rimanere in Germania sino ad agosto,
quando finalmente poterono intraprendere la via di casa, ove cercare di
dimenticare la dura esperienza vissuta e riannodare i fili di una vita segnata
da eventi così laceranti.
In precedenza, tra il 1940 e il 1941, quando la guerra –
sempre inumana - non era ancora, un’immane e orribile tragedia, il campo di Görlitz aveva ospitato dei prigionieri francesi.
Il comandante di allora, appassionato di musica, saputo che tra di essi vi era
un certo Olivier Messiaen, musicista e compositore, si adoperò perché
questi potesse tenere un concerto nel campo. Per l’occasione il maestro compose
un’opera del tutto nuova, il Quatuor pour la fin du Temps, capolavoro allegorico in omaggio
all'Angelo dell'Apocalisse, che alza la mano verso il cielo dicendo: "Non ci sarà più il Tempo". Il Quartetto
per la fine del Tempo, composizione da camera, è considerato uno dei più alti
esempi di musica del ventesimo secolo. E’ un’opera con precisi e profondi
riferimenti religiosi, filosofici e tecnici (musicali). Il concerto cameristico
fu eseguito la prima volta il 15 gennaio del 1941, sotto la neve e in
condizioni inimmaginabili, di fronte a tutti i prigionieri dello Stalag VIII A radunati in un piazzale
gelato. Gli altri musicisti a eseguire il Quatuor
con Messiaen furono: Henri Akoka (clarinetto), Jean Le Boulaire (violino) e
Étienne Pasquier (violoncello). I nazisti riuscirono a procurare per Pasquier
un violoncello con tre sole corde e il pianoforte su cui suonò Messiaen era
talmente vecchio e malmesso che i tasti, una volta premuti, restavano
abbassati. Ci piace credere che l’eco della musica abbia aleggiato a lungo
sulle baracche del campo e recato conforto al giovane Elio e con lui a tutti
gli uomini e le donne che vi hanno sofferto la prigionia.
Tutto
questo non si sapeva tal curtîf da la
Palcodana, a Tramonti di Sotto, in quel novembre del ’43. Né si sapeva da
dove arrivasse quella cartolina, se non dalla Germania, nome che già incuteva
timore. Per le tre donne, Madre, Nonna e Sorella, la cartolina riportava la
speranza del ritorno che si sarebbe concretizzato solo due anni più tardi. Ora
sappiamo che l’M-Stammlager VIII A era
un campo di prigionia base, situato a Görlitz,
una cittadina vicino a Dresda nel sud-est dell’attuale Germania, ai confini con
la Polonia e la Repubblica Ceca. Il campo, recintato con il filo spinato, era
costituito da baracche di legno che ospitavano le cuccette a castello per i
prigionieri. Progettato per 15.000 “ospiti”, ve ne furono ammassati anche
47.000. Come ricordato, nelle varie fasi della guerra, vi furono concentrati
prigionieri francesi, polacchi, inglesi, russi e infine gli IMI (Internati
Militari Italiani). Attualmente Görlitz
è una città di 57.000 abitanti, la sua bellezza è dovuta alla graziosa armonia
di stili architettonici: un insieme di palazzi gotici, rinascimentali, barocchi
e Art nouveau. Il campo di prigionia
è stato completamente demolito, solo una stele ne ricorda il sito e le sofferenze
dei reclusi e, naturalmente, le note di Messiaen con l’ammonimento dell’Angelo
dell’Apocalisse: “Non ci sarà più il Tempo”; almeno per questo no, speriamo.
La
guerra era finita da alcuni mesi, chi ne era scampato aveva fatto ritorno,
c’era voglia di dimenticare, di ricominciare a vivere. La brezza di primavera
aveva attutito l’eco della battaglia sul monte Rest, le voci secche dei
caucasici e dei tedeschi durante i rastrellamenti. Il sole d’estate aveva
asciugato il sangue dei martiri di Palcoda, fucilati contro il muro del piccolo
cimitero dietro la chiesa di Tramonti di sotto. Restava il dramma dei dispersi,
degli internati di cui ancora non si sapeva nulla; tra questi Elio sempre
atteso dalle “Carissime Manna, Nonna e
Sorella”. E, ad agosto, senza preavviso, egli tornò. A stento fu
riconosciuto quando giunse in Plazzoleta,
all’ingresso del paese. Poi la voce corse fulminea per il borgo e tutti si
riversarono tal curtîf da la Palcodana
(la cara Nonna di Elio) per riabbracciare e festeggiare il reduce. Poche furono
le domande ed evasive le risposte sugli anni della prigionia: bisognava farsene
una ragione, magari dimenticare. Più avanti negli anni, invece, Elio cominciò a
raccontare perché, come diceva: “doveis savê”. Dobbiamo sapere e
dobbiamo ricordare.
Ubaldo Muzzatti