Determinano, tra l'altro, una contrapposizione tra chi gode di tutte le garanzie e chi è in balia della crisi economica e non vedendo vie d'uscita, decide di farla finita. E' tempo che la politica metta mano per evitare un nuovo scontro di classe.
Alcuni eventi drammatici, è di
ieri la notizia del suicidio di quattro persone di cui tre congiunti, devono
essere letti anche alla luce della spaccatura in due del paese. In Italia non
si contrappongono più proletari e capitalisti (o lavoratori e imprenditori) ma
è netta la divisione tra settore privato e settore pubblico. Il primo sta
attraversando una crisi senza eguali che evidenzia spesso le difficoltà, tanto
dei lavoratori quanto degli imprenditori, sino alle estreme conseguenze del
suicidio per disperazione e mancanza di prospettive. Il secondo, costituito da
tutti coloro che fanno parte del settore pubblico, è solo marginalmente toccato
della crisi: niente perdite di lavoro e stipendio garantito ogni mese.
Ho sotto gli occhi, la statistica dei
suicidi per motivi economici degli ultimi mesi, in tutto 89 persone: 55%
imprenditori e artigiani; 31% disoccupati; 8% lavoratori dipendenti; 6%
pensionati. Nessuno tra i dirigenti e i dipendenti pubblici, loro sono al
riparo dai colpi più tremendi della crisi. Non ci si uccide per qualche anno di
lavoro in più, o qualche punto di maggiore tassazione; bensì quando si perde
tutto e non si vedono vie d’uscita. In quest’ultima condizione si vengono a
trovare solo quanti operano nel settore privato, siano essi lavoratori dipendenti,
autonomi o imprenditori.
Le dinamiche socio-economiche, indotte
dalla legislazione nazionale, hanno portato alla formazione di due nuovi raggruppamenti:
“la classe degli statali” e la “classe dei privati”. Non siamo ancora alla
lotta di classe aperta, ma è evidente che gli interessi delle due parti sono
ormai divergenti. Ciò perché le garanzie e i privilegi dell’una non sono
compatibili con la precarietà e le pressioni (fiscali, produttive, burocratiche)
che sono esercitate sull’altra.
Il costo dello Stato nel suo complesso è
il Problema dell’Italia; unitamente alla bassa produttività dei suoi apparati.
La politica, le istituzioni e amministrazioni, gli enti vari, nell’insieme,
generano una spesa pubblica che assorbe più della metà della ricchezza prodotta
dal Paese e continua a essere superiore alle entrate fiscali, già
insostenibili, e quindi alimenta l’esorbitante debito pubblico. Chi può pensare
di trovare altre risorse aumentando ancora le tasse o il debito pubblico? Dopo di
quello che abbiamo rischiato nei mesi scorsi! L’unica strada percorribile è
affrontare il “Problema italiano” su entrambi i fronti: il costo e la
produttività della pubblica amministrazione. Le risorse (sprecate) sono lì e
nell’evasione fiscale. Non ci s’illuda, però, di risolvere tutto solo con la
seconda. Magari per continuare con le spese ingiustificate della politica e con
una bassa produttività della pubblica amministrazione.
Sono tempi, non brevi, in cui i giovani
non trovano lavoro, o solamente precario e con paghe da fame, i meno giovani lo
perdono, agli anziani sfugge la pensione di anno in anno, le aziende chiudono o
si trasferiscono, molti imprenditori e lavoratori non ce la fanno più e la
fanno finita. In questi tempi, io mi domando, com’è possibile che una parte,
inserita a vario titolo nella sfera pubblica, possa continuare a vivere come
niente fosse successo; come se i pretesi diritti che rivendicano, non dovessero
essere correlati a quelli degli altri e proporzionati alla situazione generale
del Paese?
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