Nei giorni scorsi i visitatori americani di questo blog hanno
superato quelli dell’Italia. Negli Stati Uniti risiede il quindici per cento
dei lettori della VOCE CIVICA. Non conosco la ragione ma mi fa piacere. Voglio omaggiare chi mi
legge dagli States con un ricordo
delle mie trasferte di lavoro a Fort Worth – Texas.
Per molti anni ho fatto parte di un gruppo di lavoro dedito ai
trasferimenti di know-how dall’Italia in tutto il mondo. Il mio ruolo era la
formazione del personale locale, insegnavo loro a padroneggiare una tecnologia
italiana, derivata dagli studi che valsero al professor Natta il premio Nobel
per la chimica.
Da quelle esperienze ho tratto un manoscritto “La Valigia di Pelle –
per il mondo al tempo della globalizzazione”. Di quel libro, in attesa di
pubblicazione, riporto il primo racconto.
La voliera più grande del mondo
Gli Stati Uniti sono una terra di
molti contrasti, tenuti insieme da una capacità d’integrazione che riesce a far
convivere popoli e culture, climi e paesaggi affatto omogenei, architetture
neoclassiche e grattacieli, i veicoli spaziali e i calessi degli Amish. Già arrivando sopra New York con
un volo dall’Europa, si nota il “contrasto armonico” tra la Statua della
Libertà e lo skyline di Manhattan.
Giungendo, poi, all’aeroporto di Dallas –
Fort Worth, meta finale del nostro viaggio di lavoro, inizia un percorso
tra elementi contrastanti di ogni tipo e che pure coesistono senza sforzo apparente.
Dall’avveniristico complesso aeroportuale texano al downtown di Fort Worth, “il luogo dove comincia il West”, si compie un viaggio avventuroso
nello spazio e nel tempo. Il centro storico della città, infatti, è stato
mantenuto come ai tempi della “frontiera” e quando c’è la fiera, si vedono
ancora i cavalli legati alla staccionata fuori dei saloon.
Quando giungemmo negli uffici della società di cui
eravamo consulenti, la cosa che più ci colpì fu il contrasto tra i computer e
le scrivanie su cui erano posati. Modernissimi i primi, modelli non ancora
disponibili in Italia. Le scrivanie, invece, ci riportarono indietro agli anni
cinquanta, alle cattedre di legno massiccio delle nostre maestre. Più tardi Mr. Lawson ci spiegò che, in fondo, una scrivania è solo un piano
di appoggio e lavoro: fin che svolge questa funzione, non c’è motivo di
cambiarla. Questa fu solo la prima lezione di “analisi del valore” che
apprendemmo in quella trasferta.
La
seconda lezione arrivò per gradi nei giorni seguenti. Per il nuovo impianto,
acquisito chiavi in mano in Italia, l’azienda texana stava costruendo un nuovo
stabilimento. La prima volta che ci portarono in cantiere era già in piedi la
struttura in carpenteria metallica. Dissero che sarebbe stato pronto nel giro
di due settimane. Non dubitammo pensando a un rivestimento e alla copertura in
pannelli prefabbricati. Invece, nei giorni seguenti, l’involucro del fabbricato,
falde del tetto comprese, fu rivestito da una rete metallica leggera, tipo
quella usata per i pollai. Sembrava un’enorme voliera. Aspettammo e vedemmo
che, poi, cominciando dal tetto, sulla rete venivano stesi dei rotoli di
materiale isolante supportato, verso l’interno del fabbricato, da una pellicola
di plastica bianca. Infine all’esterno, fissandole con viti ai correnti
metallici della struttura, furono fissate delle lamiere grecate, con la
classica funzione di tamponamento con adeguata resistenza. Montate le porte nei
vani predisposti, essendo privo di finestre per evitare le dispersioni
termiche, il capannone era in pratica finito.
Mr.
Hopkins, concluse la seconda
lezione di “analisi del valore” facendoci osservare che, in fondo, la funzione
propria del fabbricato, contenere in sicurezza e confortevolmente addetti,
impianti e materiali, era soddisfatta. Ma io resto dell’idea che, in questo
caso, abbia ragione il legislatore europeo che impone nei luoghi di lavoro
un’adeguata finestratura, di cui una parte apribile, perché i lavoratori abbiano
luce e aria naturale. Che d’altronde sarebbe bene assicurare anche ai polli.
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