Una delle piastrelle artistiche poste sulle case INA |
Ben
vengano le idee nuove, ma non bisogna trascurare i buoni esempi che,
opportunamente rivisitati, potranno essere validi strumenti per il rilancio
dell’economia bloccata dalla pandemia. Per il metodo molti ricordano
l’efficacia del “modello Friuli”. Nel merito si auspica un “piano Marshall
europeo” ma, viste le resistenze di alcuni stati membri, l’Italia farà bene a
non scordare che nel dopoguerra seppe elaborare e portare a buon fine uno
specifico grande piano di rilancio.
Qualche giorno fa – di necessità virtù – pedalando sulla cyclette ho
acceso il televisore che è piazzato davanti. Ho “pescato”, su Rai Storia, la
trasmissione “Passato e presente” di Paolo Mieli. Argomento della puntata: “Il
piano Fanfani – una casa per gli italiani”. Mi ricordai di averne sentito
parlare negli anni sessanta: “… abita nelle case Fanfani; costruiscono case Fanfani…”.
Mieli porta avanti l’argomento con la presenza in studio di un professore di
storia, tre giovani storici (studenti della materia, penso) e il ricorso a
filmati, interviste, documenti. Per l’occasione vengono ricordate le
circostanze, i protagonisti e i dati salienti dei “Provvedimenti per
incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i
lavoratori”, titolo delle Legge 28 febbraio 1949, n. 43.
In effetti gli elementi ricordati sono degni di nota, riassumo schematicamente
quelli che più colpiscono, tra i quali alcuni che, reinterpretati, potrebbero
giovare non poco per superare lo shock economico provocato dal fermo quasi
totale delle attività economiche. Siamo nel ’48-49, presiede il Consiglio dei
ministri Alcide De Gasperi, un giovane Amintore Fanfani è ministro del lavoro e
della previdenza sociale. Ispirandosi – dicono – alle teorie economiche di Jhon
Maynard Keynes, oltre che alla “dottrina sociale della chiesa cattolica”,
Fanfani elabora e propone la legge sopracitata. Il Parlamento approva
nonostante qualche riserva delle sinistre, ma non – per esempio – del
sindacalista Giuseppe Di Vittorio.
Le finalità della legge emergono chiaramente dal titolo stesso. Molto
interessante è lo schema di finanziamento che prevede l’intervento dello
Stato, attraverso l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni INA (da cui la denominazione
ufficiale “INA-casa”); le imprese (in particolari le edili coinvolte
direttamente) e i lavoratori stessi mediante una piccola trattenuta in busta
paga (anche di questa molti si ricorderanno). Questo schema “a tre punte”, con
il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, pubblici e privati, compresa la
massa dei lavoratori dipendenti, assicurò i finanziamenti necessari permettendo
di investire, nei primi sette anni di attuazione della legge, 334 miliardi di
lire di allora. Rinnovato per altri sette anni (il piano si chiuse nel 1963)
l’investimento complessivo, del Piano, pareggiò all’incirca la quota elargita
all’Italia dallo “European Recovery Program” meglio noto come piano Marshall:
1.129 miliardi di dollari.
Altro punto di forza del piano fu, come diremmo ora,
la governance. L’attuazione
del piano fu affidata all’INA, allora un solido ed efficace istituto
assicurativo dello Stato (malamente privatizzato in seguito). Alla direzione,
programmazione e controllo Fanfani chiamò l’ingegner Filiberto Guala che, come
lui, gravitava nel gruppo di Dossetti e La Pira. Convincendolo a posticipare la
sua vocazione: alla fine del mandato si fece frate trappista. Un ente di
gestione snello, una direzione commissariale integerrima e competente – il
futuro frate proveniva dal Politecnico di Torino – permisero di condurre in
porto il grande piano senza le lungaggini e “gli incidenti” che hanno funestato
le grandi opere recenti.
Qualche altro dato: a regime il piano edificava 2.800 unità abitative a
settimana e consegnava 550 alloggi, in tutta Italia, ad altrettante famiglie di
lavoratori, contribuendo non poco all’emancipazione sociale e alla
ricostruzione post bellica. Complessivamente furono edificati, nei 14 anni di
operatività, 2 milioni di vani, ovvero 355.000 alloggi. Furno impiegati
mediamente 41.000 operai ad anno che prestarono il 10% delle giornate
lavorative dell’epoca. Senza dimenticare
la valenza urbanistica dei progetti che furono curati da molti dei migliori
architetti di allora, alcuni diventati poi delle “archistar”. Furono coinvolti molti
altri professionisti, ingegneri, geometri, periti. Per le costruzioni, in città
grandi e piccole di tutta l’Italia, furono privilegiate le piccole e medie
imprese locali. In sintesi si può affermare, senza ombra di dubbio, che il
piano INA-casa fu un grande progetto che conseguì tutti gli obiettivi previsti
e anche di più. Non solo occupazionali ed abitativi (e quindi sociali) ma anche
urbanistici ed economici in senso lato con l’avvio e la crescita di attività
imprenditoriali, artigianali e delle professioni.
Ancor
prima della brusca frenata, era in corso, animato da più soggetti, un dibattito
sulla necessità di un grande piano di rilancio dell’economia. . A maggior ragione, dopo
quanto sta succedendo, ci sarà bisogno di piani articolati e coraggiosi per
rimettere in careggiata l’economia regionale e nazionale. L’esempio qui
ricordato aveva tra gli elementi che ne hanno decretato il successo alcuni che,
rivisitati e adeguati ai tempi, potranno essere ancora utili. Primo fra
tutti l’innovativo piano di finanziamento che fu in grado di attivare le
ingenti risorse necessarie mettendo insieme quelle di un grande istituto
pubblico, con quelle delle imprese coinvolte e dei lavoratori. Una nuova
applicazione dello “schema Fanfani” potrebbe riguardare tanto il settore edilizio
stesso (adeguamenti energetici, tecnologici, antisismici; recupero centri
storici e riqualificazione periferie), quanto altri settori produttivi
consolidati o emergenti.
A maggior ragione, dopo
quanto sta succedendo, ci sarà bisogno di piani articolati e coraggiosi per
rimettere in carreggiata l’economia regionale e nazionale. L’esempio qui
ricordato aveva tra gli elementi che ne hanno decretato il successo alcuni che,
rivisitati e adeguati ai tempi, potranno essere ancora utili. Primo fra
tutti l’innovativo piano di finanziamento che fu in grado di attivare le
ingenti risorse necessarie mettendo insieme quelle di un grande istituto
pubblico, con quelle delle imprese coinvolte e dei lavoratori. Una nuova
applicazione dello “schema Fanfani” potrebbe riguardare tanto il settore edilizio
stesso (adeguamenti energetici, tecnologici, antisismici; recupero centri
storici e riqualificazione periferie), quanto altri settori produttivi
consolidati o emergenti.
Nessun commento:
Posta un commento