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giovedì 9 aprile 2020

RILANCIO ECONOMICO - E NON SOLO - COME CON IL PIANO INACASA DI FANFANI

Una delle piastrelle artistiche poste sulle case INA

Ben vengano le idee nuove, ma non bisogna trascurare i buoni esempi che, opportunamente rivisitati, potranno essere validi strumenti per il rilancio dell’economia bloccata dalla pandemia. Per il metodo molti ricordano l’efficacia del “modello Friuli”. Nel merito si auspica un “piano Marshall europeo” ma, viste le resistenze di alcuni stati membri, l’Italia farà bene a non scordare che nel dopoguerra seppe elaborare e portare a buon fine uno specifico grande piano di rilancio.
Qualche giorno fa – di necessità virtù – pedalando sulla cyclette ho acceso il televisore che è piazzato davanti. Ho “pescato”, su Rai Storia, la trasmissione “Passato e presente” di Paolo Mieli. Argomento della puntata: “Il piano Fanfani – una casa per gli italiani”. Mi ricordai di averne sentito parlare negli anni sessanta: “… abita nelle case Fanfani; costruiscono case Fanfani…”. Mieli porta avanti l’argomento con la presenza in studio di un professore di storia, tre giovani storici (studenti della materia, penso) e il ricorso a filmati, interviste, documenti. Per l’occasione vengono ricordate le circostanze, i protagonisti e i dati salienti dei “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori”, titolo delle Legge 28 febbraio 1949, n. 43.

In effetti gli elementi ricordati sono degni di nota, riassumo schematicamente quelli che più colpiscono, tra i quali alcuni che, reinterpretati, potrebbero giovare non poco per superare lo shock economico provocato dal fermo quasi totale delle attività economiche. Siamo nel ’48-49, presiede il Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi, un giovane Amintore Fanfani è ministro del lavoro e della previdenza sociale. Ispirandosi – dicono – alle teorie economiche di Jhon Maynard Keynes, oltre che alla “dottrina sociale della chiesa cattolica”, Fanfani elabora e propone la legge sopracitata. Il Parlamento approva nonostante qualche riserva delle sinistre, ma non – per esempio – del sindacalista Giuseppe Di Vittorio.
Le finalità della legge emergono chiaramente dal titolo stesso. Molto interessante è lo schema di finanziamento che prevede l’intervento dello Stato, attraverso l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni INA (da cui la denominazione ufficiale “INA-casa”); le imprese (in particolari le edili coinvolte direttamente) e i lavoratori stessi mediante una piccola trattenuta in busta paga (anche di questa molti si ricorderanno). Questo schema “a tre punte”, con il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, pubblici e privati, compresa la massa dei lavoratori dipendenti, assicurò i finanziamenti necessari permettendo di investire, nei primi sette anni di attuazione della legge, 334 miliardi di lire di allora. Rinnovato per altri sette anni (il piano si chiuse nel 1963) l’investimento complessivo, del Piano, pareggiò all’incirca la quota elargita all’Italia dallo “European Recovery Program” meglio noto come piano Marshall: 1.129 miliardi di dollari.
Altro punto di forza del piano fu, come diremmo ora, la governance. L’attuazione del piano fu affidata all’INA, allora un solido ed efficace istituto assicurativo dello Stato (malamente privatizzato in seguito). Alla direzione, programmazione e controllo Fanfani chiamò l’ingegner Filiberto Guala che, come lui, gravitava nel gruppo di Dossetti e La Pira. Convincendolo a posticipare la sua vocazione: alla fine del mandato si fece frate trappista. Un ente di gestione snello, una direzione commissariale integerrima e competente – il futuro frate proveniva dal Politecnico di Torino – permisero di condurre in porto il grande piano senza le lungaggini e “gli incidenti” che hanno funestato le grandi opere recenti.
Qualche altro dato: a regime il piano edificava 2.800 unità abitative a settimana e consegnava 550 alloggi, in tutta Italia, ad altrettante famiglie di lavoratori, contribuendo non poco all’emancipazione sociale e alla ricostruzione post bellica. Complessivamente furono edificati, nei 14 anni di operatività, 2 milioni di vani, ovvero 355.000 alloggi. Furno impiegati mediamente 41.000 operai ad anno che prestarono il 10% delle giornate lavorative dell’epoca.  Senza dimenticare la valenza urbanistica dei progetti che furono curati da molti dei migliori architetti di allora, alcuni diventati poi delle “archistar”. Furono coinvolti molti altri professionisti, ingegneri, geometri, periti. Per le costruzioni, in città grandi e piccole di tutta l’Italia, furono privilegiate le piccole e medie imprese locali. In sintesi si può affermare, senza ombra di dubbio, che il piano INA-casa fu un grande progetto che conseguì tutti gli obiettivi previsti e anche di più. Non solo occupazionali ed abitativi (e quindi sociali) ma anche urbanistici ed economici in senso lato con l’avvio e la crescita di attività imprenditoriali, artigianali e delle professioni.
Ancor prima della brusca frenata, era in corso, animato da più soggetti, un dibattito sulla necessità di un grande piano di rilancio dell’economia. .   A maggior ragione, dopo quanto sta succedendo, ci sarà bisogno di piani articolati e coraggiosi per rimettere in careggiata l’economia regionale e nazionale. L’esempio qui ricordato aveva tra gli elementi che ne hanno decretato il successo alcuni che, rivisitati e adeguati ai tempi, potranno essere ancora utili. Primo fra tutti l’innovativo piano di finanziamento che fu in grado di attivare le ingenti risorse necessarie mettendo insieme quelle di un grande istituto pubblico, con quelle delle imprese coinvolte e dei lavoratori. Una nuova applicazione dello “schema Fanfani” potrebbe riguardare tanto il settore edilizio stesso (adeguamenti energetici, tecnologici, antisismici; recupero centri storici e riqualificazione periferie), quanto altri settori produttivi consolidati o emergenti.
A maggior ragione, dopo quanto sta succedendo, ci sarà bisogno di piani articolati e coraggiosi per rimettere in carreggiata l’economia regionale e nazionale. L’esempio qui ricordato aveva tra gli elementi che ne hanno decretato il successo alcuni che, rivisitati e adeguati ai tempi, potranno essere ancora utili. Primo fra tutti l’innovativo piano di finanziamento che fu in grado di attivare le ingenti risorse necessarie mettendo insieme quelle di un grande istituto pubblico, con quelle delle imprese coinvolte e dei lavoratori. Una nuova applicazione dello “schema Fanfani” potrebbe riguardare tanto il settore edilizio stesso (adeguamenti energetici, tecnologici, antisismici; recupero centri storici e riqualificazione periferie), quanto altri settori produttivi consolidati o emergenti.

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