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venerdì 29 marzo 2013

PREVIDENZA, UNA RIFORMA DA RIFARE

 Non solo esodati, molte ingiustizie da sanare per pensioni veramente eque

La riforma previdenziale "Monti - Fornero" si apre, dichiarando di uniformarsi a criteri di "equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli". Si è poi visto, sopratutto in base ai contenuti delle circolari applicative emanate dall' INPS, che così non era e ancora non è. 

Molto si è parlato, nei mesi scorsi, del problema degli esodati, ovvero di quanti - a seguito della riforma - si sarebbero trovati senza lavoro, senza stipendio e senza pensione per ancora molti anni. Vi erano poi i problemi di quanti avevano avuto l'autorizzazione alla contribuzione volontaria, di quanti avevano maturato il diritto alla pensione minima con quindici anni di contribuzione e se l'erano visto riconfermato tanto dalla riforma "Amato" quanto dalla successiva "Dini". Il tutto sino alla riforma "Fornero" o meglio sino alla pubblicazione della circolare INPS n. 35 del 2012, dove la contribuzione minima era fissata, senza deroga alcuna, a 20 anni. Il problema dei così detti "quindicenni" è stato risolto in seguito, con una nuova circolare che riconosceva i diritti acquisiti nelle forme stabilite in precedenza.

La riforma "Fornero" porta ad almeno 20 anni di versamenti  anche i lavoratori inseriti nel sistema contributivo, ovvero quanti hanno cominciato a lavorare dopo il 31.12.1995. Abolendo di fatto la possibilità di ottenere un trattamento minimo e, ovviamente proporzionale ai versamenti, anche con 5 anni di lavoro. Cosa prevista in precedenza e caposaldo del sistema contributivo. Per quanti avranno una contribuzione inferiore ai 20 anni è previsto un assegno pensionistico solo a partire dai 70 anni di età e purché vi siano effettivi versamenti per almeno 5 anni. 

Si apriva, in questo modo, uno spiraglio per i c.d. contributi silenti, ovvero per i lavoratori, sopratutto donne, con pochi anni di versamenti che - con le regole precedenti - potevano perdere del tutto prima 15 e poi 20 anni di contribuzione. Se non che, con la circolare INPS già nominata, si è stabilito che la pensione a 70 anni con almeno 5 anni di effettiva contribuzione è riservata ai soli lavoratori con primo versamento dopo l' 1/1/1996. Mentre per i lavoratori che hanno cominciato a lavorare prima resta valida le previsione di 20 anni minimi di contributi per accedere alla pensione.

Ne deriva che un lavoratore, con prima contribuzione (ovvero inizio dell'attività) antecedente al primo gennaio 1996 perde completamente sino a 20 anni, meno una settimana, di contributi versati e rimane senza nessun sostegno pensionistico! Da non credere.

E' del tutto evidente che tanto per chi ha iniziato prima del '96, quanto per chi ha iniziato dopo si tratta di ani di lavoro e di importi trattenuti dalla busta paga versati all' INPS. E allora perché i primi dovrebbero perdere  la loro contribuzione mentre i secondi seppure solo a 70 anni si vedranno riconoscere una pensione? 

Questa è una evidente e macroscopica disequità che inficia i presupposti dichiarati nella legge di riforma. Che, in tutta evidenza, dovrà essere riformata al più presto e per molte ragioni.







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