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giovedì 28 marzo 2013

AUTONOMIA, NON AUTARCHIA



Provate a immaginare cosa sarebbe la nostra vita se non beneficiassimo degli sviluppi culturali, scientifici, tecnologici, economici, che integrano, quanto riusciamo a elaborare autonomamente. Per fortuna vi è circolazione del sapere e del saper fare. Vi è un ambito, però, in cui non vogliamo assolutamente prendere esempi: quello politico e amministrativo. In questo campo vogliamo sbagliare da soli; le esperienze di altri non ci interessano, non sono considerate.
     E’ possibile che, in questo campo, nulla sia traslabile tal quale, ma non dobbiamo ignorare le esperienze altrui, i buoni esempi, le cose che funzionano, si tratta di fare delle scelte e degli adattamenti. In ogni settore, progettare significa elaborare, assemblare, adattare. L’ambito legislativo non può fare eccezione. In Italia ha ripreso vigore il dibattito sulla riforma delle autonomie locali. In realtà si parla esclusivamente della sorte da riservare alle province: chi le vuole abolire tutte, chi in parte, chi accorpare, chi potenziare.
    La riforma delle autonomie locali deve essere complessiva, per tutto il territorio regionale e per tutti i livelli in cui si articolano: dal comune alla regione, passando per le istituzioni intermedie che si vorranno individuare o confermare. E’ certo, infatti, che il sistema, per funzionare, deve essere coordinato e interdipendente.  La riforma deve perseguire contestualmente esigenze di efficacia, efficienza ed equivalenza, nell’erogazione dei servizi, superare i limiti palesati dall’articolazione attuale, prefigurare istituzioni condivise, garantire pari dignità e riconoscimento alle comunità regionali: tutte. I buoni esempi per perseguire questi obiettivi non mancano: basta guardare in Carinzia, in Baviera, nei Grigioni, in Trentino. E adattare, ovviamente.

                                                                                                                                 

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