Provate
a immaginare cosa sarebbe la nostra vita se non beneficiassimo degli sviluppi
culturali, scientifici, tecnologici, economici, che integrano, quanto riusciamo
a elaborare autonomamente. Per fortuna vi è circolazione del sapere e del saper
fare. Vi è un ambito, però, in cui non vogliamo assolutamente prendere esempi:
quello politico e amministrativo. In questo campo vogliamo sbagliare da soli;
le esperienze di altri non ci interessano, non sono considerate.
E’ possibile che, in questo campo, nulla
sia traslabile tal quale, ma non dobbiamo ignorare le esperienze altrui, i
buoni esempi, le cose che funzionano, si tratta di fare delle scelte e degli
adattamenti. In ogni settore, progettare significa elaborare, assemblare,
adattare. L’ambito legislativo non può fare eccezione. In Italia ha ripreso
vigore il dibattito sulla riforma delle autonomie locali. In realtà si parla
esclusivamente della sorte da riservare alle province: chi le vuole abolire
tutte, chi in parte, chi accorpare, chi potenziare.
La riforma delle autonomie locali deve
essere complessiva, per tutto il territorio regionale e per tutti i livelli in
cui si articolano: dal comune alla regione, passando per le istituzioni intermedie
che si vorranno individuare o confermare. E’ certo, infatti, che il sistema,
per funzionare, deve essere coordinato e interdipendente. La riforma deve perseguire contestualmente
esigenze di efficacia, efficienza ed equivalenza, nell’erogazione dei servizi,
superare i limiti palesati dall’articolazione attuale, prefigurare istituzioni
condivise, garantire pari dignità e riconoscimento alle comunità regionali:
tutte. I buoni esempi per perseguire questi obiettivi non mancano: basta
guardare in Carinzia, in Baviera, nei Grigioni, in Trentino. E adattare,
ovviamente.
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