Il dibattito sulla reintroduzione
di un ente intermedio (o di area vasta) da inserire tra i comuni e la regione
pare finalmente decollare. In queste ultime settimane sul tema si stanno
moltiplicando gli incontri, i convegni, i confronti organizzati da partiti,
associazioni, altri soggetti. Gli interventi sulla stampa sono numerosi e riportano
varie proposte, per lo più di dettaglio, mentre i temi di fondo sono trascurati.
In ogni caso è bene che si discuta e siano in tanti a contribuire. La riforma,
infatti, quale ne sia l’esito, riguarderà tutti. Bene, quindi, che non venga
discussa esclusivamente “nelle segrete stanze” ma che ai decisori istituzionali
giunga il contributo di un ampio e franco dibattito. Sono molte, dunque, le
proposte, i suggerimenti, le richieste che vengono avanzate per l’introduzione
di un ente intermedio di area vasta innovativo o semplicemente la riedizione
delle vecchie province, tuttalpiù con qualche modifica nel numero e nelle
attribuzioni.
Molte, però, sono le cose di cui
nessuno parla pur essendo pertinenti la materia. Direi fondamentali per non
precludere la possibilità di varare un “Sistema Regione – Autonomie locali” in
grado di affrontare le sfide future e supportare una nuova stagione di sviluppo
per tutto il territorio e le comunità che vi risiedono. Proviamo, in sintesi,
ad elencare alcuni degli elementi che non sono ancora entrati nel dibattito per
l’istituzione dell’ente intermedio con il rischio, quindi, che si vada a
decidere senza aver preso in considerazione tutte le variabili possibili e, di
conseguenza, di varare una soluzione non ottimale.
Innanzitutto bisogna (bisognava)
porsi la domanda se un ente intermedio sia assolutamente necessario per lo
sviluppo futuro del territorio e della comunità regionale. Nel tentare di
rispondere sarà bene ricordare che le istituzioni politico-amministrative sono
delle organizzazioni e queste – tutte – negli ultimi decenni hanno subito delle
grandi trasformazioni, indotte dalle nuove tecnologie e dai cambiamenti culturali.
Uno dei più evidenti e generalizzati è la riduzione dei livelli gerarchici e
funzionali. Le organizzazioni pubbliche possono e devono beneficiare, al pari
di quelle private, degli avanzamenti tecnologici ed organizzativi. Lo hanno già
fatto in nord Europa. La Danimarca, per esempio, con la riforma del 2007 si è
strutturata su soli tre livelli: Stato, Regioni, Comuni. Nessun ente
intermedio, quindi, tra Regioni e Comuni. Molti altri stati (e tra questi
l’Italia e la nostra regione) non sono ancora pronti per questa
semplificazione, ma non bisognerebbe precludersi la possibilità di arrivarci in
futuro. Per questo bisognerebbe che l’eventuale ente intermedio fosse compatto
e omogeneo, più che vasto, tale da prefigurare, un domani, il nuovo ente di
prossimità.
Storicamente, l’articolazione
amministrativa italiana e francese, imperniate su province e departements,
erano simili. Però, con la riforma territoriale del 2014 la Francia ha
praticamente soppresso le province (mentre l’Italia le vuole reintrodurre) e
istituito le Intercomunità o Comunità di comuni. Con questo la Francia
abbandona l’impostazione centralistica, avviata due secoli or sono da
Napoleone, e adotta il modello federalistico per la costituzione degli enti
intermedi tra i comuni e le regioni. Non è cosa di poco conto.
Alcuni apertamente, altri
velatamente anelano ad un riconoscimento istituzionale su base identitaria e
pensano che ciò si possa concretizzare con una riedizione delle province. Nulla
di più lontano dalla realtà. Alle quattro provincie soppresse non
corrispondevano quattro diverse identità. L’identità friulana non è solo della
ex provincia di Udine ed è riconosciuta come propria anche dalla maggioranza dei
residenti nella ex provincia di Pordenone e da una buona parte di quelli della
provincia di Gorizia. É impossibile far coincidere una circoscrizione amministrativa con
un areale identitario unico e omogeneo. Tuttavia è opportuno e doveroso
ricercare soluzioni per favorire tanto lo sviluppo socio-economico, con
circoscrizioni amministrative dimensionate allo scopo, e la tutela
linguistico-culturale entro ciascuna area d’insediamento. Il Belgio, dopo aver
rischiato di implodere per i contrasti tra fiamminghi e valloni, con la riforma
costituzionale del 1993 ha trovato una buona soluzione strutturandosi su tre
regioni amministrative (Fiandre, Vallonia e Bruxelles-Capitale) e tre Comunità
linguistiche non del tutto coincidenti alle prime (fiamminga, francofona e
germanofona). É in pratica un’applicazione in campo istituzionale della così
detta organizzazione a matrice. Un mezzo passo, in questa direzione, l’ha fatto
anche il FVG con il riconoscimento delle comunità linguistiche friulana,
tedesca e slovena. Ora bisognerebbe fare l’altro mezzo passo, ovvero delegare a
organi rappresentativi delle tre comunità tutte le attività e risorse inerenti
tutela e sviluppo delle rispettive lingue e culture. A quel punto la
definizione del numero e la perimetrazione degli eventuali enti intermedi potrà
essere effettuata solo in base a parametri finalizzati al perseguimento di
efficienza ed efficacia nell’erogazione dei servizi, per la realizzazione delle
infrastrutture e lo sviluppo socio-economico.
Da più parti, in particolare dalla
montagna, è stata segnalata la specificità di certe zone e la conseguente opportunità
di un’amministrazione dedicata, distinta dalle altre con cui in passato aveva
condiviso il livello amministrativo intermedio. Giusta osservazione, non tutti
gli ambiti hanno le stesse problematiche ed esigenze, tanto per l’ordinaria
amministrazione quanto per le azioni volte a favorirne lo sviluppo. Ma dove si
registrano le maggiori differenze e la conseguente opportunità che i relativi ambiti
abbiano distinte amministrazioni? Senza dubbio tra i contesti fortemente
urbanizzati e le aree esterne, ovvero tra le città e i territori extraurbani
costellati di cittadine, paesi, borghi. Basta guardare verso Austria e
Germania, per vedere efficacemente applicato il principio della separazione
amministrativa tra le città maggiori e il territorio. Nella vicina Carinzia,
per esempio, vi sono due Distretti urbani, costituiti dalle sole città di
Klagenfurt e Villach e dieci distretti territoriali che aggregano gli altri 130
comuni.
Sono pochi esempi che dimostrano come
un vero dibattito su come organizzare la regione per i prossimi decenni per
supportarne lo sviluppo di tutte le sue componenti non è ancora decollato
nonostante la messe di convegni, incontri, proposte, interventi. Sono troppi
gli aspetti fondamentali inerenti il governo del territorio che sono del tutto
ignorati. Pertanto, ove si continuasse con queste limitazioni, è plausibile che
si arrivi, ancora una volta, ad una soluzione non soddisfacente.
Marzo 2025 Ubaldo Muzzatti
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