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sabato 29 marzo 2025

QUELLO CHE NON SI DICE SUGLI ENTI INTERMEDI DI AREA VASTA (NEO PROVINCE)

 

Il dibattito sulla reintroduzione di un ente intermedio (o di area vasta) da inserire tra i comuni e la regione pare finalmente decollare. In queste ultime settimane sul tema si stanno moltiplicando gli incontri, i convegni, i confronti organizzati da partiti, associazioni, altri soggetti. Gli interventi sulla stampa sono numerosi e riportano varie proposte, per lo più di dettaglio, mentre i temi di fondo sono trascurati. In ogni caso è bene che si discuta e siano in tanti a contribuire. La riforma, infatti, quale ne sia l’esito, riguarderà tutti. Bene, quindi, che non venga discussa esclusivamente “nelle segrete stanze” ma che ai decisori istituzionali giunga il contributo di un ampio e franco dibattito. Sono molte, dunque, le proposte, i suggerimenti, le richieste che vengono avanzate per l’introduzione di un ente intermedio di area vasta innovativo o semplicemente la riedizione delle vecchie province, tuttalpiù con qualche modifica nel numero e nelle attribuzioni.

Molte, però, sono le cose di cui nessuno parla pur essendo pertinenti la materia. Direi fondamentali per non precludere la possibilità di varare un “Sistema Regione – Autonomie locali” in grado di affrontare le sfide future e supportare una nuova stagione di sviluppo per tutto il territorio e le comunità che vi risiedono. Proviamo, in sintesi, ad elencare alcuni degli elementi che non sono ancora entrati nel dibattito per l’istituzione dell’ente intermedio con il rischio, quindi, che si vada a decidere senza aver preso in considerazione tutte le variabili possibili e, di conseguenza, di varare una soluzione non ottimale.

Innanzitutto bisogna (bisognava) porsi la domanda se un ente intermedio sia assolutamente necessario per lo sviluppo futuro del territorio e della comunità regionale. Nel tentare di rispondere sarà bene ricordare che le istituzioni politico-amministrative sono delle organizzazioni e queste – tutte – negli ultimi decenni hanno subito delle grandi trasformazioni, indotte dalle nuove tecnologie e dai cambiamenti culturali. Uno dei più evidenti e generalizzati è la riduzione dei livelli gerarchici e funzionali. Le organizzazioni pubbliche possono e devono beneficiare, al pari di quelle private, degli avanzamenti tecnologici ed organizzativi. Lo hanno già fatto in nord Europa. La Danimarca, per esempio, con la riforma del 2007 si è strutturata su soli tre livelli: Stato, Regioni, Comuni. Nessun ente intermedio, quindi, tra Regioni e Comuni. Molti altri stati (e tra questi l’Italia e la nostra regione) non sono ancora pronti per questa semplificazione, ma non bisognerebbe precludersi la possibilità di arrivarci in futuro. Per questo bisognerebbe che l’eventuale ente intermedio fosse compatto e omogeneo, più che vasto, tale da prefigurare, un domani, il nuovo ente di prossimità.

Storicamente, l’articolazione amministrativa italiana e francese, imperniate su province e departements, erano simili. Però, con la riforma territoriale del 2014 la Francia ha praticamente soppresso le province (mentre l’Italia le vuole reintrodurre) e istituito le Intercomunità o Comunità di comuni. Con questo la Francia abbandona l’impostazione centralistica, avviata due secoli or sono da Napoleone, e adotta il modello federalistico per la costituzione degli enti intermedi tra i comuni e le regioni. Non è cosa di poco conto.

Alcuni apertamente, altri velatamente anelano ad un riconoscimento istituzionale su base identitaria e pensano che ciò si possa concretizzare con una riedizione delle province. Nulla di più lontano dalla realtà. Alle quattro provincie soppresse non corrispondevano quattro diverse identità. L’identità friulana non è solo della ex provincia di Udine ed è riconosciuta come propria anche dalla maggioranza dei residenti nella ex provincia di Pordenone e da una buona parte di quelli della provincia di Gorizia. É impossibile far coincidere una circoscrizione amministrativa con un areale identitario unico e omogeneo. Tuttavia è opportuno e doveroso ricercare soluzioni per favorire tanto lo sviluppo socio-economico, con circoscrizioni amministrative dimensionate allo scopo, e la tutela linguistico-culturale entro ciascuna area d’insediamento. Il Belgio, dopo aver rischiato di implodere per i contrasti tra fiamminghi e valloni, con la riforma costituzionale del 1993 ha trovato una buona soluzione strutturandosi su tre regioni amministrative (Fiandre, Vallonia e Bruxelles-Capitale) e tre Comunità linguistiche non del tutto coincidenti alle prime (fiamminga, francofona e germanofona). É in pratica un’applicazione in campo istituzionale della così detta organizzazione a matrice. Un mezzo passo, in questa direzione, l’ha fatto anche il FVG con il riconoscimento delle comunità linguistiche friulana, tedesca e slovena. Ora bisognerebbe fare l’altro mezzo passo, ovvero delegare a organi rappresentativi delle tre comunità tutte le attività e risorse inerenti tutela e sviluppo delle rispettive lingue e culture. A quel punto la definizione del numero e la perimetrazione degli eventuali enti intermedi potrà essere effettuata solo in base a parametri finalizzati al perseguimento di efficienza ed efficacia nell’erogazione dei servizi, per la realizzazione delle infrastrutture e lo sviluppo socio-economico.

Da più parti, in particolare dalla montagna, è stata segnalata la specificità di certe zone e la conseguente opportunità di un’amministrazione dedicata, distinta dalle altre con cui in passato aveva condiviso il livello amministrativo intermedio. Giusta osservazione, non tutti gli ambiti hanno le stesse problematiche ed esigenze, tanto per l’ordinaria amministrazione quanto per le azioni volte a favorirne lo sviluppo. Ma dove si registrano le maggiori differenze e la conseguente opportunità che i relativi ambiti abbiano distinte amministrazioni? Senza dubbio tra i contesti fortemente urbanizzati e le aree esterne, ovvero tra le città e i territori extraurbani costellati di cittadine, paesi, borghi. Basta guardare verso Austria e Germania, per vedere efficacemente applicato il principio della separazione amministrativa tra le città maggiori e il territorio. Nella vicina Carinzia, per esempio, vi sono due Distretti urbani, costituiti dalle sole città di Klagenfurt e Villach e dieci distretti territoriali che aggregano gli altri 130 comuni.

Sono pochi esempi che dimostrano come un vero dibattito su come organizzare la regione per i prossimi decenni per supportarne lo sviluppo di tutte le sue componenti non è ancora decollato nonostante la messe di convegni, incontri, proposte, interventi. Sono troppi gli aspetti fondamentali inerenti il governo del territorio che sono del tutto ignorati. Pertanto, ove si continuasse con queste limitazioni, è plausibile che si arrivi, ancora una volta, ad una soluzione non soddisfacente.

Marzo 2025                                                                                                                                                                                                                                                                            Ubaldo Muzzatti

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