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sabato 29 marzo 2025

DALLE “PICCOLE PATRIE” ALL’ EUROPA FEDERALE

Ruolo e importanza delle autonomie e delle minoranze etnico-linguistiche in Europa

di Ubaldo Muzzatti

 

Il processo di formazione delle comunità e delle istituzioni

Le comunità - grandi o piccole che siano – sono un insieme di persone più o meno omogeneo e coeso. Conseguentemente, le istituzioni, che rappresentano e governano le comunità locali, regionali, statali, agiscono per, e su, insiemi di persone (ed entro un territorio, ovviamente). La persona, elemento costitutivo di ogni comunità, è l’unica entità irripetibile e indivisibile. Per contro la comunità, e l’istituzione che la rappresenta e governa, può costituirsi e modellarsi (ampliarsi, ridursi, dividersi) in forme e dimensioni diverse. A seconda dei soggetti e degli eventi che la plasmano.

Antropologicamente, per via naturale, le comunità si formano con un processo ascendente. Che, in estrema sintesi, vede la persona (una e indivisibile) unita ad altre persone per formare la famiglia, ovvero la comunità primigenia e più coesa; poi un certo numero di famiglie formare il clan, la tribù, il villaggio; poi la comunanza dei clan, delle tribù, dei villaggi formeranno una etnia, una nazione, più o meno grande. Traslato ai giorni nostri: un insieme di persone, che vivono nello stesso luogo, costituiscono un quartiere, o un borgo; un certo numero di quartieri, o di borghi, formeranno rispettivamente una città o un paese; più città e più paesi (Comuni) una Regione; un certo numero di Regioni (o Cantoni, o Länder) lo Stato. Ovviamente, questo processo di aggregazioni successive può portare ad articolazioni diverse e a comprendere enti intermedi variamente denominati (Province, Comprensori, Distretti, Circondari, …). L’elemento caratterizzante è il processo ascendente di formazione dell’articolazione istituzionale per il governo della comunità a partire dall’individuo (cittadino), titolare di diritti inalienabili tra i quali, assieme ad altri (popolo), la sovranità. Il processo ascendente, per la formazione delle istituzioni, è alla base del federalismo ed è un modello bottom up, che dalle comunità locali, porta a quelle regionali, statali, federali.

Si contrappone al modello sopradescritto (ascendente – aggregativo – bottom up – federalista) il processo discendente – partitivo - top-down - centralista. Mediante il quale l’istituzione più grande, lo Stato (il Regno, l’Impero ed anche la Repubblica unitaria) esercita il potere di disegnare l’articolazione sottostante per il governo dei territori e delle comunità afferenti. E lo fa, appunto, con un processo che parte e cala dall’alto, top down, andando a definire Regioni (Province, Comprensori, Distretti, Circondari…) e le istituzioni locali di prossimità. Era la prassi usata dal potere assoluto acquisito - con la forza, l’astuzia, l’abilità – dai “grandi” della storia che, conquistati dei territori, ne disponevano a piacimento.

Anche questa prassi ha una origine antropologica che attiene all’ancestrale, e non ancora sopito, istinto umano alla conquista, alla sopraffazione, al desiderio di potere sulle persone e sulle cose altre. Spiace dover constatare che in molti casi, anche dopo la trasformazione dello Stato, da regno a repubblica o da dittatura a democrazia, questo abbia mantenuto l’impostazione centralistica e la prerogativa di “suddividere” il territorio creando – dall’alto con il processo discendente – l’articolazione per l’amministrazione del territorio. Per contro, si può osservare che alcune monarchie europee applicano, oggigiorno, principi e prassi federalistiche meglio e più di alcune repubbliche, tra quest’ultime figura ancora l’Italia. Mentre alcuni Regni si sono dati una struttura che, per l’autonomia riconosciuta alle partizioni interne, richiamano l’impostazione federalistica, tra questi possiamo senz’altro comprendere il Regno Unito con le sue quattro nazioni costitutive, il Belgio con le tre regioni amministrative e le tre comunità linguistiche, e in certa misura la Spagna con le sue Comunità autonome.

Alcune esperienze storiche e attuali di federalismo in Europa

In varie epoche storiche, in alcune zone limitate d’Europa, vi sono state delle esperienze di aggregazione di entità territoriali di minor dimensione per la formazione di una realtà superiore che le ricomprendeva e a cui venivano delegate delle funzioni da svolgere nell’interesse di tutti i federati, prima fra tutte la difesa dai nemici esterni, ma anche il mantenimento e lo sviluppo dei tratti caratteristici comuni: linguistici, culturali, sociali, economici. In tal senso vi sono state aggregazioni a carattere federalistico (ovviamente da contestualizzare) nella Grecia classica, nell’Etruria pre-romana, con i comuni medioevali in varie parti d’Europa.

Giusto al centro dell’Europa è posto il più classico, più longevo e probante esempio di federalismo: la Svizzera. La Repubblica svizzera è per tutti lo stato federale per antonomasia. Lo è ufficialmente dal 1848, ma già dal 1291 alcuni territori della Svizzera centrale, allora dominio asburgico, sottoscrissero il “Patto eterno confederale” proprio per contrastare lo strapotere dell’Impero. Per evoluzioni successive, prima come Confederazione (aggregazione di stati che mantengono la sovranità piena) e poi come Federazione (Unione più vincolante di stati che mantengono autonomia in determinate materie e ne delegano altre) si viene a formare la Svizzera attuale. I 26 Cantoni (stati) svizzeri, aventi ciascuno una estensione media di soli 1.588 chilometri quadrati (circa la metà delle province italiane) e una popolazione media di 328.000 abitanti (poco più della metà delle province italiane), dimostrano che è pienamente sostenibile una federazione formata da un gran numero di aderenti con dimensione contenuta. E, con ciò, di poter salvaguardare le molte peculiarità presenti all’interno della federazione. L’impostazione federale, con l’ampia autonomia in diverse materie dei singoli Cantoni, ha permesso – tra l’altro - di mantenere integre e sullo stesso piano (nonostante le diverse consistenze demografiche) le 4 comunità linguistiche ufficiali: tedesca, francese, italiana e romancia (ladina) e la protezione di almeno altre 4 parlate minoritarie (walser, lombardo, arpitano, svizzero tedesco). Allo scopo concorrono sia la Costituzione federale, sia le Costituzioni cantonali. Per esempio la Costituzione del Canton Ticino all’articolo 1 recita: «Il Cantone Ticino è una repubblica democratica di cultura e lingua italiane» e il preambolo chiarisce che «il popolo ticinese» è «fedele al compito storico di interpretare la cultura italiana nella Confederazione elvetica».

Sempre contestualizzando le situazioni e gli avvenimenti alle varie epoche in cui si sono succeduti, possiamo trovare tratti ed elementi, ancor oggi tipici del federalismo, nella millenaria storia del Patriarcato di Aquileia. In particolare nei tre secoli e mezzo (dal 1.077 al 1.420) in cui esercitò a pieno titolo anche il potere temporale su quella che era la Patria del Friuli. Infatti, come ecclesiastici i Patriarchi di Aquileia svolsero il loro magistero con grande autonomia dal Papa di Roma; come principi del Friuli e degli altri possedimenti con ancor maggiore autonomia dall’Impero (Sacro Romano Germanico) da cui pure avevano avuto l’investitura e di cui facevano parte. Nelle modalità con cui fu esercitato il potere temporale si rilevano le forme che, ovviamente aggiornate, sono di prassi negli stati federali, molto più che in quelli centralistici. In sintesi la Patrie ebbe un parlamento in cui sedeva un’ampia e articolata (circa 100) rappresentanza dei ceti e delle istituzioni di allora: nobiltà (in tutto una settantina di castellani), clero (quattordici ecclesiastici), comunità civiche (per esempio Sacile, Tolmezzo, San Vito, in tutto quattordici) a cui, dalla metà del sedicesimo secolo, si aggiunse la Contadinanza, ovvero una rappresentanza del ceto subalterno. Il Parlamento fu, a tutti gli effetti, assemblea legislativa e tribunale supremo. Un contrappeso (si direbbe ora) effettivo ed efficace al potere assoluto del Patriarca. Il Parlamento emanava le leggi, si occupava della politica estera e della difesa, della pubblica amministrazione, di tassazione e della giustizia. Il Parlamento si riuniva prevalentemente nel castello di Udine, ma anche, a rotazione, in altre sedi (Cividale, Gemona, Aviano, Sacile, e altre), dal 1231 al 1805 per 574 anni. Dunque, sino ad ora, è stato uno dei più antichi e più longevi. La Patrie ebbe una delle primissime costituzioni del mondo, promulgata dal patriarca Marquardo l’otto novembre 1366 a Sacile. Seconda per data di promulgazione alla sola Magna charta libertatum, firmata dal re d’Inghilterra nel 1215. Rispetto a quella inglese, però, la costituzione friulana assicurava un maggior ventaglio di diritti fondamentali e non esclusivamente alla nobiltà e al clero. Di fatto la Patria del Friuli era uno stato federato all’Impero ed esercitava al suo interno principi federali, quando il federalismo moderno (costituzione americana del 1787) non era ancora avviato. Per esempio evitando l’accentramento delle sedi e delle funzioni e praticando invece la rotazione delle riunioni del Parlamento; riconoscendo rappresentanza a ogni comunità e a tutto il territorio; nonché libertà di espressione alle diverse parlate, friulano, veneto, tedesco, slavo, anche nei contesti ufficiali come le riunioni del Parlamento della Patria. Riuscì a far convivere pacificamente e collaborare le genti latine, slave e germaniche, in pratica quelli che sono ancor oggi i nuclei etnolinguistici principali dell’Europa. Obiettivo che deve essere costantemente perseguito e che spesso è stato disatteso nell’Europa degli ultimi secoli e persino degli ultimi decenni.

Venendo ai giorni nostri, tra i 27 membri della UE si annoverano 24 stati unitari e 3 stati federali. Oltre alla Monarchia federale Belga, della quale si è già accennato, vi sono le repubbliche di Germania e Austria costituite rispettivamente da 16 e 9 Länder (stati). Queste due realtà sono molto importanti perché estendono alcuni principi federalistici anche ai territori interni a ciascun Länder. Infatti, al livello intermedio non troviamo enti accentrati su un capoluogo e dei territori a questi sottoposto, come nel caso delle province italiane e dei departements francesi, bensì Circondari e Distretti che sono, di fatto, federazioni di comuni, con peculiarità, problematiche e dimensioni molto simili. Nel mentre, le grandi città costituiscono un ente di pari livello ma distinto dal territorio che sono le Città extracircondariali in Germania (143 in tutto) e le Città statutarie in Austria (15).

Le Autonomie locali per il governo del territorio e delle città

È fuori dubbio che le medio-grandi città e i centri minori sparsi sul territorio siano realtà diverse per dimensione, concentrazione di popolazione, edificazione e infrastrutture, spazi, aree verdi e naturali, contenitori e contenuti. Che abbiano problematiche gestionali e amministrative differenti per molti versi, esigenze di conduzione, di cure e investimenti affatto simili. Non di meno le due realtà, città e territorio, sono indissolubili e complementari, reciprocamente indispensabili per la qualità di vita della popolazione, ovunque residente. È interesse di tutti che la città realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, offra i servizi, i contenitori e i contenuti che, per tipologia e dimensione, possono essere localizzati solo in un contesto urbano. Al contempo che il territorio realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, custodisca, quanto rende possibile la fruizione dell’immenso e insostituibile patrimonio, naturale e prodotto dall’antropizzazione, diffuso su di esso. Infine che in entrambe le realtà si attuino politiche e pratiche amministrative, di erogazione dei servizi, di investimenti specifici e, quindi, opportunamente differenziati per alcuni aspetti. Abbiamo l’esigenza di ottimizzare la gestione delle due realtà, nell’interesse di tutti, perseguendo uno sviluppo armonico e complementare. Non è la stessa cosa amministrare (nel senso omnicomprensivo del termine) una città o il territorio e non di meno abbiamo bisogno di città e comunità extraurbane gestite in modo ottimale.

Questo, che è nello spirito del federalismo, in Germania e Austria, è già realtà. Ed è di buon auspicio, per una futura estensione in tutta Europa di questi principi, che la Francia con la “Riforma territoriale”, approvata nel 2014 e in fase di realizzazione, stia abbandonando enti di stampo centralistico, quali gli Arrondissements e i Departements e stia insediando le Intercommunalités e le Communautés des Communes, enti costituiti da federazioni di Comuni che, come è noto, in Francia sono molto numerosi (35.357) e di conseguenza molto piccoli (mediamente solo 2.583 abitanti). Anche il principio della distinzione tra i grandi aggregati urbani e il territorio esterno è stato recepito con l’istituzione di 21 Metropoles con almeno 400.000 residenti, mentre per la costituzione di una Intercommunalités territoriale, dopo un primo tentativo a 5.000, la soglia minima è stata portata a 20.000.

Le esperienze innovative locali in Italia

Anche in Italia ci sono degli esempi, molto positivi, di applicazione dei principi federali alle autonomie locali. Prime, fra tutte, le Province autonome di Trento e Bolzano. In Trentino il livello intermedio è costituito dalle 16 Comunità di valle che aggregano i 217 comuni della Provincia. In Alto Adige / Südtirol i 116 comuni sono aggregati in 7 Comprensori territoriali a cui si aggiunge il Comprensorio urbano mono-comune di Bolzano. Con ciò la Provincia autonoma, ricalcando i modelli tedesco e austriaco, realizza anch’essa la distinzione tra città e territorio. Molto ben utilizzata è pure l’autonomia scolastica di cui gode la Provincia. Nelle valli di insediamento delle minoranze ladine (Gardena, Badia), per esempio, nelle scuole primarie si insegna in tre lingue: tedesco, italiano e ladino, con un metodo che va oltre il Content and Language Integrated Learning (CLIL) che prevede di insegnare qualche materia, che non sia la lingua stessa, in una lingua straniera. Infatti con il metodo altoatesino a scuola si “vive” integralmente ciascuna delle tre parlate, a cicli settimanali che si alternano. In questo modo, tutti i residenti in valle imparano stabilmente le tre lingue, tra cui la ladina. Poi dalle medie vengono aggiunte altre lingue, a partire dall’inglese. In questo modo, tutti ne parlano almeno tre e gran parte della popolazione quattro o cinque, accreditandosi come una delle comunità effettivamente più europee ed aperte. Con ciò smentendo quanti ritengono controproducente lo studio delle lingue locali.

Vi sono poi, in Italia, altre piccole ma interessanti esperienze. Tra queste la “Federazione dei Comuni del Sampierese” in provincia di Padova. In punta di diritto trattasi di un’Unione di Comuni in attuazione della Legge n. 56/2014 (Riforma Delrio). I dieci Comuni aderenti, però, oltre alla denominazione hanno introdotto i principi di una federazione utili alla miglior gestione di un ente sovracomunale omogeneo. Tra questi, la rotazione degli incarichi di vertice tra i rappresentanti dei comuni facenti parte, la distribuzione delle sedi e dei punti di erogazione dei servizi, il voto capitario e non il ponderale che favorisce sempre i comuni più popolati, l’unione tra realtà equivalenti, ovvero tra soli paesi e cittadine, riconoscendo che la città (nel loro caso Padova) è una realtà diversa.

 Prima ancora, in Friuli Venezia Giulia, c’è stata la pluridecennale esperienza della Comunità Collinare del Friuli. Dove una quindicina di Comuni, intorno a San Daniele, in assenza di normative regionali e nazionali, che ancora non c’erano, si consorziarono volontariamente per svolgere in comune una serie di attività e pianificare uno sviluppo sovracomunale. Purtroppo poi, quando le riforme furono intraprese, invece di prendere quell’ esperienza a modello per estenderla al resto del territorio, con ogni integrazione necessaria, fu praticamente destrutturata.

Il federalismo: una questione culturale

Dunque, esperienze federalistiche o, comunque di aggregazioni ascendenti e volontarie per la formazione di entità di maggiore dimensione, ce ne sono state in varie zone ed epoche della storia europea. Però solo in ambiti geografici limitati.  Invece, le esperienze e i tentativi di unificare, in toto, o buona parte del continente sono sempre state l’esito di processi di espansione, conquista e annessione del soggetto di volta in volta più forte: da Cesare a Carlo Magno, da Napoleone al penultimo sciagurato tentativo di Hitler.

Solo l’ultimo tentativo, in corso dal secondo dopoguerra, di unificare l’Europa si basa sul criterio volontario di aggregazione e quindi federalistico. Anche se uno stato federale europeo è ancora lontano e l’attuale Unione pare più allontanarsi che procedere verso il traguardo di una Repubblica federale europea. Molti sono gli ostacoli che si frappongono, ma all’origine incide soprattutto l’assenza, in molti paesi, di una cultura federale e il prevalere dei nazionalismi.  La maggior parte degli stati dell’Unione Europea, 24 su 27, sono unitari ed hanno una conoscenza ed un’esperienza dei principi federalistici limitata. E tutti sono impregnati da secoli di centralismo e unitarismo nazionali. Infatti, quasi tutti gli stati europei hanno origine dall’opera di re e imperatori, volta ad accaparrarsi dei territori, più che ad assicurare agli stessi un governo e uno sviluppo confacente alle rispettive aspirazioni. Il recente passaggio dalle monarchie alle repubbliche e dall’assolutismo alla democrazia non è ancora riuscito a incidere in profondità su questi temi; ad affermare ed applicare il principio democratico, che in teoria tutti riconoscono, dell’autodeterminazione delle comunità naturali.

Ma la Repubblica d’Europa sarà federale o non sarà. Su questo non ci sono dubbi. Nel mentre molti ancora paiono non comprendere l’enorme potenziale di uno stato federale europeo. Che non è solo economico e geopolitico sullo scacchiere internazionale, ma è anche la via per superare pacificamente e definitivamente i non pochi problemi interni che abbiamo ereditato dalla modalità con cui si sono venuti a formare gli attuali stati europei e che, qui sopra, abbiamo appena accennato. Per esempio, i confini, definiti dopo la seconda guerra mondiale, per tutta una serie di motivi (strategici, riparativi, ripartitivi tra i due blocchi, occidentale e orientale) non hanno sempre ed ovunque potuto rispettare l’aspirazione - legata a storia, geografia, usanze, lingua – delle comunità interessate. 

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