Ruolo e importanza delle autonomie e delle
minoranze etnico-linguistiche in Europa
di Ubaldo Muzzatti
Il processo di formazione
delle comunità e delle istituzioni
Le comunità - grandi o piccole
che siano – sono un insieme di persone più o meno omogeneo e coeso. Conseguentemente,
le istituzioni, che rappresentano e governano le comunità locali, regionali, statali,
agiscono per, e su, insiemi di persone (ed entro un territorio, ovviamente). La
persona, elemento costitutivo di ogni comunità, è l’unica entità irripetibile e
indivisibile. Per contro la comunità, e l’istituzione che la rappresenta e
governa, può costituirsi e modellarsi (ampliarsi, ridursi, dividersi) in forme
e dimensioni diverse. A seconda dei soggetti e degli eventi che la plasmano.
Antropologicamente, per via
naturale, le comunità si formano con un processo ascendente. Che, in estrema
sintesi, vede la persona (una e indivisibile) unita ad altre persone per
formare la famiglia, ovvero la comunità primigenia e più coesa; poi un certo
numero di famiglie formare il clan, la tribù, il villaggio; poi la comunanza
dei clan, delle tribù, dei villaggi formeranno una etnia, una nazione, più o
meno grande. Traslato ai giorni nostri: un insieme di persone, che vivono nello
stesso luogo, costituiscono un quartiere, o un borgo; un certo numero di
quartieri, o di borghi, formeranno rispettivamente una città o un paese; più
città e più paesi (Comuni) una Regione; un certo numero di Regioni (o Cantoni,
o Länder) lo Stato. Ovviamente, questo processo di
aggregazioni successive può portare ad articolazioni diverse e a comprendere
enti intermedi variamente denominati (Province, Comprensori, Distretti, Circondari,
…). L’elemento caratterizzante è il processo ascendente di formazione
dell’articolazione istituzionale per il governo della comunità a partire
dall’individuo (cittadino), titolare di diritti inalienabili tra i quali, assieme
ad altri (popolo), la sovranità. Il processo ascendente, per la formazione
delle istituzioni, è alla base del federalismo ed è un modello bottom up,
che dalle comunità locali, porta a quelle regionali, statali, federali.
Si contrappone al modello sopradescritto
(ascendente – aggregativo – bottom up – federalista) il processo
discendente – partitivo - top-down - centralista. Mediante il quale
l’istituzione più grande, lo Stato (il Regno, l’Impero ed anche la Repubblica
unitaria) esercita il potere di disegnare l’articolazione sottostante per il
governo dei territori e delle comunità afferenti. E lo fa, appunto, con un
processo che parte e cala dall’alto, top down, andando a definire
Regioni (Province, Comprensori, Distretti, Circondari…) e le istituzioni locali
di prossimità. Era la prassi usata dal potere assoluto acquisito - con la
forza, l’astuzia, l’abilità – dai “grandi” della storia che, conquistati dei
territori, ne disponevano a piacimento.
Anche questa prassi ha una
origine antropologica che attiene all’ancestrale, e non ancora sopito, istinto
umano alla conquista, alla sopraffazione, al desiderio di potere sulle persone
e sulle cose altre. Spiace dover constatare che in molti casi, anche dopo la
trasformazione dello Stato, da regno a repubblica o da dittatura a democrazia,
questo abbia mantenuto l’impostazione centralistica e la prerogativa di
“suddividere” il territorio creando – dall’alto con il processo discendente –
l’articolazione per l’amministrazione del territorio. Per contro, si può
osservare che alcune monarchie europee applicano, oggigiorno, principi e prassi
federalistiche meglio e più di alcune repubbliche, tra quest’ultime figura
ancora l’Italia. Mentre alcuni Regni si sono dati una struttura che, per
l’autonomia riconosciuta alle partizioni interne, richiamano l’impostazione
federalistica, tra questi possiamo senz’altro comprendere il Regno Unito con le
sue quattro nazioni costitutive, il Belgio con le tre regioni amministrative e
le tre comunità linguistiche, e in certa misura la Spagna con le sue Comunità
autonome.
Alcune esperienze storiche e
attuali di federalismo in Europa
In varie epoche storiche, in
alcune zone limitate d’Europa, vi sono state delle esperienze di aggregazione
di entità territoriali di minor dimensione per la formazione di una realtà
superiore che le ricomprendeva e a cui venivano delegate delle funzioni da
svolgere nell’interesse di tutti i federati, prima fra tutte la difesa dai
nemici esterni, ma anche il mantenimento e lo sviluppo dei tratti
caratteristici comuni: linguistici, culturali, sociali, economici. In tal senso
vi sono state aggregazioni a carattere federalistico (ovviamente da
contestualizzare) nella Grecia classica, nell’Etruria pre-romana, con i comuni
medioevali in varie parti d’Europa.
Giusto al centro dell’Europa è
posto il più classico, più longevo e probante esempio di federalismo: la
Svizzera. La Repubblica svizzera è per tutti lo stato federale per antonomasia.
Lo è ufficialmente dal 1848, ma già dal 1291 alcuni territori della Svizzera
centrale, allora dominio asburgico, sottoscrissero il “Patto eterno
confederale” proprio per contrastare lo strapotere dell’Impero. Per evoluzioni
successive, prima come Confederazione (aggregazione di stati che mantengono la
sovranità piena) e poi come Federazione (Unione più vincolante di stati che
mantengono autonomia in determinate materie e ne delegano altre) si viene a
formare la Svizzera attuale. I 26 Cantoni (stati) svizzeri, aventi ciascuno una
estensione media di soli 1.588 chilometri quadrati (circa la metà delle
province italiane) e una popolazione media di 328.000 abitanti (poco più della
metà delle province italiane), dimostrano che è pienamente sostenibile una
federazione formata da un gran numero di aderenti con dimensione contenuta. E, con
ciò, di poter salvaguardare le molte peculiarità presenti all’interno della
federazione. L’impostazione federale, con l’ampia autonomia in diverse materie
dei singoli Cantoni, ha permesso – tra l’altro - di mantenere integre e sullo
stesso piano (nonostante le diverse consistenze demografiche) le 4 comunità
linguistiche ufficiali: tedesca, francese, italiana e romancia (ladina) e la
protezione di almeno altre 4 parlate minoritarie (walser, lombardo, arpitano,
svizzero tedesco). Allo scopo concorrono sia la Costituzione federale, sia le
Costituzioni cantonali. Per esempio la Costituzione del Canton Ticino all’articolo 1 recita: «Il Cantone Ticino è una repubblica
democratica di cultura e lingua italiane» e il preambolo chiarisce che «il
popolo ticinese» è «fedele al compito storico di interpretare la cultura
italiana nella Confederazione elvetica».
Sempre contestualizzando le situazioni
e gli avvenimenti alle varie epoche in cui si sono succeduti, possiamo trovare
tratti ed elementi, ancor oggi tipici del federalismo, nella millenaria storia
del Patriarcato di Aquileia. In particolare nei tre secoli e mezzo (dal 1.077
al 1.420) in cui esercitò a pieno titolo anche il potere temporale su quella
che era la Patria del Friuli. Infatti, come ecclesiastici i Patriarchi di
Aquileia svolsero il loro magistero con grande autonomia dal Papa di Roma; come
principi del Friuli e degli altri possedimenti con ancor maggiore autonomia
dall’Impero (Sacro Romano Germanico) da cui pure avevano avuto l’investitura e
di cui facevano parte. Nelle modalità con cui fu esercitato il potere temporale
si rilevano le forme che, ovviamente aggiornate, sono di prassi negli stati
federali, molto più che in quelli centralistici. In sintesi la Patrie
ebbe un parlamento in cui sedeva un’ampia e articolata (circa 100)
rappresentanza dei ceti e delle istituzioni di allora: nobiltà (in tutto una
settantina di castellani), clero (quattordici ecclesiastici), comunità civiche
(per esempio Sacile, Tolmezzo, San Vito, in tutto quattordici) a cui, dalla
metà del sedicesimo secolo, si aggiunse la Contadinanza, ovvero una
rappresentanza del ceto subalterno. Il Parlamento fu, a tutti gli effetti, assemblea
legislativa e tribunale supremo. Un contrappeso (si direbbe ora) effettivo ed
efficace al potere assoluto del Patriarca. Il Parlamento emanava le leggi, si
occupava della politica estera e della difesa, della pubblica amministrazione,
di tassazione e della giustizia. Il Parlamento si riuniva prevalentemente nel
castello di Udine, ma anche, a rotazione, in altre sedi (Cividale, Gemona,
Aviano, Sacile, e altre), dal 1231 al 1805 per 574 anni. Dunque, sino ad ora, è
stato uno dei più antichi e più longevi. La Patrie ebbe una delle
primissime costituzioni del mondo, promulgata
dal patriarca Marquardo l’otto novembre 1366
a Sacile. Seconda per data di promulgazione alla sola Magna charta
libertatum, firmata dal re d’Inghilterra nel 1215. Rispetto a quella
inglese, però, la costituzione friulana assicurava un maggior ventaglio di
diritti fondamentali e non esclusivamente alla nobiltà e al clero. Di fatto la Patria del Friuli era uno stato
federato all’Impero ed esercitava al suo interno principi federali, quando il
federalismo moderno (costituzione americana del 1787) non era ancora avviato.
Per esempio evitando l’accentramento delle sedi e delle funzioni e praticando
invece la rotazione delle riunioni del Parlamento; riconoscendo rappresentanza
a ogni comunità e a tutto il territorio; nonché libertà di espressione alle
diverse parlate, friulano, veneto, tedesco, slavo, anche nei contesti ufficiali
come le riunioni del Parlamento della Patria. Riuscì a far convivere
pacificamente e collaborare le genti latine, slave e germaniche, in pratica quelli
che sono ancor oggi i nuclei etnolinguistici principali dell’Europa. Obiettivo
che deve essere costantemente perseguito e che spesso è stato disatteso
nell’Europa degli ultimi secoli e persino degli ultimi decenni.
Venendo ai giorni nostri, tra i 27 membri della UE si
annoverano 24 stati unitari e 3 stati federali. Oltre alla Monarchia federale
Belga, della quale si è già accennato, vi sono le repubbliche di Germania e
Austria costituite rispettivamente da 16 e 9 Länder (stati). Queste due
realtà sono molto importanti perché estendono alcuni principi federalistici
anche ai territori interni a ciascun Länder. Infatti, al livello
intermedio non troviamo enti accentrati su un capoluogo e dei territori a
questi sottoposto, come nel caso delle province italiane e dei departements
francesi, bensì Circondari e Distretti che sono, di fatto, federazioni di
comuni, con peculiarità, problematiche e dimensioni molto simili. Nel mentre,
le grandi città costituiscono un ente di pari livello ma distinto dal
territorio che sono le Città extracircondariali in Germania (143 in tutto) e le
Città statutarie in Austria (15).
Le Autonomie locali per il governo
del territorio e delle città
È fuori dubbio che le medio-grandi
città e i centri minori sparsi sul territorio siano realtà diverse per
dimensione, concentrazione di popolazione, edificazione e infrastrutture,
spazi, aree verdi e naturali, contenitori e contenuti. Che abbiano problematiche gestionali e amministrative
differenti per molti versi, esigenze di conduzione, di cure e investimenti
affatto simili. Non di meno le due realtà, città e territorio, sono
indissolubili e complementari, reciprocamente indispensabili per la qualità di
vita della popolazione, ovunque residente. È interesse di tutti che la città
realizzi, si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, offra i servizi, i
contenitori e i contenuti che, per tipologia e dimensione, possono essere
localizzati solo in un contesto urbano. Al contempo che il territorio realizzi,
si doti, sviluppi, organizzi, gestisca, custodisca, quanto rende possibile la
fruizione dell’immenso e insostituibile patrimonio, naturale e prodotto
dall’antropizzazione, diffuso su di esso. Infine che in entrambe le realtà si
attuino politiche e pratiche amministrative, di erogazione dei servizi, di
investimenti specifici e, quindi, opportunamente differenziati per alcuni
aspetti. Abbiamo l’esigenza di ottimizzare la gestione delle due realtà,
nell’interesse di tutti, perseguendo uno sviluppo armonico e complementare. Non è la stessa cosa amministrare (nel
senso omnicomprensivo del termine) una città o il territorio e non di meno abbiamo
bisogno di città e comunità extraurbane gestite in modo ottimale.
Questo, che è nello spirito del federalismo,
in Germania e Austria, è già realtà. Ed è di buon auspicio, per una futura
estensione in tutta Europa di questi principi, che la Francia con la “Riforma
territoriale”, approvata nel 2014 e in fase di realizzazione, stia abbandonando
enti di stampo centralistico, quali gli Arrondissements e i Departements
e stia insediando le Intercommunalités e le Communautés des Communes,
enti costituiti da federazioni di Comuni che, come è noto, in Francia sono
molto numerosi (35.357) e di conseguenza molto piccoli (mediamente solo 2.583
abitanti). Anche il principio della distinzione tra i grandi aggregati urbani e
il territorio esterno è stato recepito con l’istituzione di 21 Metropoles con
almeno 400.000 residenti, mentre per la costituzione di una Intercommunalités
territoriale, dopo un primo tentativo a 5.000, la soglia minima è stata
portata a 20.000.
Le esperienze innovative locali in Italia
Anche in Italia ci sono degli esempi, molto
positivi, di applicazione dei principi federali alle autonomie locali. Prime,
fra tutte, le Province autonome di Trento e Bolzano. In Trentino il livello
intermedio è costituito dalle 16 Comunità di valle che aggregano i 217 comuni
della Provincia. In Alto Adige / Südtirol i 116 comuni sono aggregati in 7
Comprensori territoriali a cui si aggiunge il Comprensorio urbano mono-comune
di Bolzano. Con ciò la Provincia autonoma, ricalcando i modelli tedesco e
austriaco, realizza anch’essa la distinzione tra città e territorio. Molto ben
utilizzata è pure l’autonomia scolastica di cui gode la Provincia. Nelle valli
di insediamento delle minoranze ladine (Gardena, Badia), per esempio, nelle
scuole primarie si insegna in tre lingue: tedesco, italiano e ladino, con un
metodo che va oltre il Content and Language Integrated
Learning (CLIL) che
prevede di insegnare qualche materia, che non sia la lingua stessa, in una
lingua straniera. Infatti con il metodo altoatesino a scuola si “vive”
integralmente ciascuna delle tre parlate, a cicli settimanali che si alternano.
In questo modo, tutti i residenti in valle imparano stabilmente le tre lingue,
tra cui la ladina. Poi dalle medie vengono aggiunte altre lingue, a partire
dall’inglese. In questo modo, tutti ne parlano almeno tre e gran parte della
popolazione quattro o cinque, accreditandosi come una delle comunità
effettivamente più europee ed aperte. Con ciò smentendo quanti ritengono controproducente
lo studio delle lingue locali.
Vi sono poi, in Italia, altre piccole ma
interessanti esperienze. Tra queste la “Federazione dei Comuni del Sampierese”
in provincia di Padova. In punta di diritto trattasi di un’Unione di Comuni in
attuazione della Legge n. 56/2014 (Riforma Delrio). I dieci Comuni aderenti,
però, oltre alla denominazione hanno introdotto i principi di una federazione utili alla miglior gestione di un ente sovracomunale omogeneo.
Tra questi, la rotazione degli incarichi di vertice tra i rappresentanti dei
comuni facenti parte, la distribuzione delle sedi e dei punti di erogazione dei
servizi, il voto capitario e non il ponderale che favorisce sempre i comuni più
popolati, l’unione tra realtà equivalenti, ovvero tra soli paesi e cittadine,
riconoscendo che la città (nel loro caso Padova) è una realtà diversa.
Prima ancora, in
Friuli Venezia Giulia, c’è stata la pluridecennale esperienza della Comunità
Collinare del Friuli. Dove una quindicina di Comuni, intorno a San Daniele, in
assenza di normative regionali e nazionali, che ancora non c’erano, si
consorziarono volontariamente per svolgere in comune una serie di attività e
pianificare uno sviluppo sovracomunale. Purtroppo poi, quando le riforme furono
intraprese, invece di prendere quell’ esperienza a modello per estenderla al
resto del territorio, con ogni integrazione necessaria, fu praticamente
destrutturata.
Il federalismo: una questione culturale
Dunque, esperienze federalistiche o, comunque di aggregazioni
ascendenti e volontarie per la formazione di entità di maggiore dimensione, ce
ne sono state in varie zone ed epoche della storia europea. Però solo in ambiti
geografici limitati. Invece, le
esperienze e i tentativi di unificare, in toto, o buona parte del continente
sono sempre state l’esito di processi di espansione, conquista e annessione del
soggetto di volta in volta più forte: da Cesare a Carlo Magno, da Napoleone al
penultimo sciagurato tentativo di Hitler.
Solo l’ultimo tentativo, in corso dal secondo dopoguerra, di
unificare l’Europa si basa sul criterio volontario di aggregazione e quindi
federalistico. Anche se uno stato federale europeo è ancora lontano e l’attuale
Unione pare più allontanarsi che procedere verso il traguardo di una Repubblica
federale europea. Molti sono gli ostacoli che si frappongono, ma all’origine
incide soprattutto l’assenza, in molti paesi, di una cultura federale e il
prevalere dei nazionalismi. La maggior
parte degli stati dell’Unione Europea, 24 su 27, sono unitari ed hanno una
conoscenza ed un’esperienza dei principi federalistici limitata. E tutti sono impregnati
da secoli di centralismo e unitarismo nazionali. Infatti, quasi tutti gli stati
europei hanno origine dall’opera di re e imperatori, volta ad accaparrarsi dei
territori, più che ad assicurare agli stessi un governo e uno sviluppo
confacente alle rispettive aspirazioni. Il recente passaggio dalle monarchie
alle repubbliche e dall’assolutismo alla democrazia non è ancora riuscito a
incidere in profondità su questi temi; ad affermare ed applicare il principio
democratico, che in teoria tutti riconoscono, dell’autodeterminazione delle
comunità naturali.
Ma la Repubblica d’Europa sarà federale o non sarà. Su questo non ci sono dubbi. Nel mentre molti ancora paiono non comprendere l’enorme potenziale di uno stato federale europeo. Che non è solo economico e geopolitico sullo scacchiere internazionale, ma è anche la via per superare pacificamente e definitivamente i non pochi problemi interni che abbiamo ereditato dalla modalità con cui si sono venuti a formare gli attuali stati europei e che, qui sopra, abbiamo appena accennato. Per esempio, i confini, definiti dopo la seconda guerra mondiale, per tutta una serie di motivi (strategici, riparativi, ripartitivi tra i due blocchi, occidentale e orientale) non hanno sempre ed ovunque potuto rispettare l’aspirazione - legata a storia, geografia, usanze, lingua – delle comunità interessate.
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