Si è presentato come vescovo di Roma (primus inter pares). Intende
superare la visione “Vaticano-centrica” della Curia. Si avvale di “collegi
consulenziali” per riformare la Chiesa. Lascerà che le Conferenze Episcopali
eleggano autonomamente i presidenti, rinunciando al potere di nomina.
Con i primi atti e le dichiarazioni, Papa Francesco prefigura, per la
complessa articolazione della Chiesa Cattolica, una gestione meno centralistica
e più collegiale, con maggiore autonomia per le Chiese locali.
In questo si discosta molto dalle recenti tendenze politiche italiane
che perseguono un ritorno al centralismo e la riduzione degli spazi di
autonomia e autogoverno delle comunità locali.
Certamente il Papa si cura
d’altro, non entra direttamente nelle questioni politiche italiane o di altri
paesi ed è Lui stesso a chiarirlo. Non di meno osservando i suoi atti e
ascoltando le sue dichiarazioni balza agli occhi il suo orientamento su alcuni
criteri di governo di una grande organizzazione, come la Chiesa Cattolica e
come gli Stati sovrani. Criteri che riguardano l’articolazione
dell’organizzazione stessa; l’equiordinamento dei livelli istituiti,
l’accentramento o il decentramento delle competenze e dei servizi; l’autonomia
delle istituzioni periferiche.
Nelle parole e nei gesti di Papa
Francesco si colgono innanzitutto gli aspetti religiosi, etici, umani. Questo è
l’aspetto preminente che tutti apprezzano, credenti e non credenti. Al contempo
non possono sfuggire, e non dovremmo tralasciare, quei passaggi, nemmeno tanto
impliciti, che trovano un parallelo nelle vicende pubbliche. E che,
relativamente, agli orientamenti della politica italiana corrente denotano una
certa distanza rispetto alle posizioni espresse. In particolare stupisce e
preoccupa che, con i provvedimenti adottati dagli ultimi governi, le
istituzioni italiane stiano prendendo la direzione opposta a quella che Papa
Francesco vuole percorre con e per la Chiesa cattolica.
Nel presentarsi al mondo il Papa
ha voluto sottolineare il suo essere Vescovo, seppure della diocesi di Roma.
Con questo ha ricordato a tutti che la chiesa, “una”, è formata da tante unità
equiordinate e di pari dignità. Una visione che, traslata nelle istituzioni
laiche, possiamo definire federale, che prende le distanze dal monolitismo
centralistico.
Nell’incontro con Eugenio
Scalfari il Papa ha fatto capire di non condividere una Curia romana troppo
“Vaticano-centrica” e che la Chiesa è, e deve essere, la comunità delle
parrocchie e delle diocesi. E’ un chiaro riconoscimento alla dignità e
autonomia delle comunità locali. In altra occasione ha dichiarato di voler
rinunciare al diritto di nomina del presidente della CEI, lasciando che i
vescovi vi provvedano con un’elezione. Un chiaro richiamo al valore
dell’autonomia delle articolazioni che costituiscono l’insieme.
Senza entrare nel merito (preminente e di grandissimo
rilievo) delle questioni religiose si possono cogliere nelle parole e negli
atti di Papa Francesco degli elementi che, traslati nella realtà politica e
istituzionale italiana, ne evidenziano la distanza. Negli ultimi tempi i
politici italiani hanno intrapreso una strada neocentralistica e di riduzione
dell’autonomia delle articolazioni periferiche dello Stato che la Costituzione
vuole, invece, equiordinati. Per il bene degli italiani, dobbiamo augurarci che
la “lezione politica” (indiretta, ovviamente) di Papa Francesco sia ascoltata,
compresa e attuata in Italia. A questo proposito sarebbe utile sapere quanti
dei politici di tutti gli schieramenti che plaudono al nuovo corso Vaticano,
hanno colto l’aspetto che più dovrebbe interessare loro, quello della riforma
delle istituzioni per renderle più democratiche, partecipate e vicine ai
cittadini.
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